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Proposta di legge Foti: l’attacco alle moschee e il silenzio delle organizzazioni islamiche

La Luce – Il 7 giugno è iniziato l’iter per l’approvazione di una proposta di legge che prende di mira i musulmani e le loro sale di preghiera. Dalle opposizioni sono arrivate solo fievoli reazioni, dalle organizzazioni islamiche neanche quelle. Chi tutela il culto dei musulmani in Italia?

In data 17 marzo il deputato Tommaso Foti, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, ha presentato una proposta di legge scritta talmente male che non sembra voler essere approvata ma soltanto voler piantare la bandierina politica della discriminazione verso i musulmani.

Al momento il testo è in esame presso la Commissione Ambiente alla Camera dove i membri delle opposizioni hanno sollevato sostanzialmente “obiezioni d’ufficio”. Soprattutto, si sono “opposti” senza darne visibilità sui loro social media come fanno invece, molto frequentemente, quando si immolano per i nuovi diritti. Eppure, sulla carta quello al culto è un diritto fondamentale, consolidato, che nella pratica a qualcuno viene sistematicamente negato. I cosiddetti progressisti badano bene a non mostrarsi mai amici dei diritti dei musulmani che finiscono così per rimanere schiacciati tra i nemici roboanti del centrodestra e i non-amici paternalisti del centrosinistra, per di più senza organizzazioni islamiche in grado di far fronte a queste circostanze.

Cosa dice la proposta di legge

Questa proposta di legge vorrebbe modificare il Codice del Terzo Settore per evitare che la preghiera dei musulmani possa essere svolta nei locali di un ente di utilità sociale. Basterebbe questo a squalificare la cosa perché nel 2023 è folle anche solo ipotizzare che la preghiera, di qualsiasi culto, necessiti di autorizzazione. Le persone che si riuniscono per fini leciti non devono chiedere alcun permesso per pregare (ogni parlamentare dovrebbe saperlo). Se si aggiunge poi che la proposta intende concedere questa “autorizzazione” solo a chi professa determinate religioni allora il delirio dovrebbe essere palese ai più.

Da non trascurare il fatto che il Codice del Terzo Settore già esclude dal suo ambito gli enti che hanno finalità religiose (fatta eccezione per le loro attività benefiche non di culto) ma pare che la cosa sia sfuggita a tutti. Questa confusa modifica da un lato (cioè per alcuni) rafforzerebbe strumentalmente una regola già esistente e dall’altro introdurrebbe un’eccezione per le religioni titolari di intesa con lo Stato (per intenderci, più o meno quelle sulla scheda dell’8×1000). Un po’ come se per dimostrare di essere contrari al kebab si dichiarasse guerra all’occupazione indebita del suolo pubblico (già fuorilegge per definizione) proponendo di tollerarla, per legge, se i ristoranti cucinano italiano, cinese, indiano… ma non mediorientale!

Fin dalle prime righe della relazione che accompagna la proposta dell’Onorevole Foti si trovano espressi concetti propagandistici. Si parla di “grimaldello utilizzato dalle comunità islamiche per insediarsi nel territorio italiano”, come se si trattasse di pirati a largo delle nostre coste che solo in presenza di moschee mettono piede sulla terraferma. Le moschee riconosciute in quanto tali non ci sono ma abbiamo oltre 2 milioni e mezzo di musulmani stabilmente in Italia da decenni, di cui almeno 1 milione con cittadinanza italiana.

Anche se si tratta di una presenza per lo più di origine straniera, nessuno è qui per islamizzare qualcosa o qualcuno. Quando non parliamo di persone nate o cresciute in Italia la casistica è quella di individui e famiglie che cercano di migliorare la propria condizione di vita senza alcun progetto di invasione religiosa o culturale, anche perché mancherebbe all’appello l’ideatore (religioso e culturale) di un siffatto progetto. I paesi di provenienza sono tanti, a volte in conflitto tra loro e non di rado afflitti da gravi problemi sociali. Proprio come i paesi d’origine degli immigrati non musulmani. Come si fa a vedere un disegno comune, con finalità religiose, dietro il fenomeno dell’immigrazione quando questa origina da paesi a maggioranza islamica?

Il problema moschee comunque c’è

I concordati non sono un diritto quindi la libertà religiosa, che è un diritto consolidato, non può essere subordinata ad essi. Essendo accordi bilaterali, per le parti non può vigere l’obbligo di scendere a patti ma le persone religiose non possono vivere senza pregare. Nel 2016 la Corte Costituzionale ha stabilito (sentenza n°52) che il Governo non è obbligato neanche ad avviarla una trattativa finalizzata alla stipula di un’Intesa (che è la forma di concordato per le confessioni non cattoliche) perché trattasi di atto squisitamente politico (ed è alquanto evidente che nessuno troverebbe politicamente conveniente fare un concordato con i musulmani).

Nella stessa sentenza però la Corte Costituzionale stabilisce che le libertà religiose devono essere garantite senza concordati (che dovrebbero servire per normare altre cose) ed anche per questo le confessioni non hanno diritto neanche all’avvio di una trattativa per l’Intesa. Accanto al lavoro dei tribunali manca purtroppo il lavoro delle istituzioni politiche per cui la materia è fatta sostanzialmente di sentenze e principi alti, sconosciuti ai più.

In tutta la storia della Repubblica (quasi 80 anni!), governi di tutti i colori e tutte le maggioranze che si sono susseguite in Parlamento mai hanno realizzato il superamento della Legge sui Culti Ammessi del 1929 (che, ricordiamolo, è una legge del ventennio fascista ancora in vigore nel nostro ordinamento). Soprattutto in materia edilizia (cioè per i luoghi di culto) questa legge ormai non serve più a niente e di fatto abbiamo circa 1200 “strutture islamiche” (tante ne conta e così le chiama il Viminale, quindi non stiamo parlando di una rete clandestina).

Tornando alla metafora di cui sopra, va detto che questa “informalità” è anche un po’ come quando un ristorante mette qualche tavolino sul marciapiede, però va sottolineato che manca una norma esplicita che dica come poter occupare debitamente il suolo pubblico e così, nella discrezione politica, ai musulmani e ad altre minoranze questo permesso viene per lo più negato (fuori di metafora, stiamo parlando di una specifica destinazione d’uso urbanistica, necessaria per la pratica del culto quando si è “aperti al pubblico”, quindi nessuno sta occupando niente).

A questo punto ci sono solo due possibili scelte: rinunciare alla preghiera rituale congregazionale (rinunciare cioè al diritto fondamentale della pratica collettiva e pubblica del culto, riconosciuto dalla nostra Costituzione e dal diritto internazionalmente) oppure rischiare di incappare nelle maglie di una non-legge. Ci sono casi in cui l’organizzazione sistematica della preghiera islamica “aperta al pubblico” (in mancanza della destinazione d’uso per culto) viene considerata reato e si arriva alla sanzione penale per abuso edilizio.

La Corte di Strasburgo processerà l’Italia per questa zona grigia normativa che rende inevitabile il “reato di preghiera” ed il pronunciamento sul caso (un ricorso del 2020 a seguito di una pena carceraria) potrebbe anche arrivare durante la legislatura in corso. Nel frattempo, abbiamo questa tribale proposta di legge (la n° 1018) che inasprisce un problema comunque strutturale del nostro ordinamento, colpendo inevitabilmente anche altre minoranze (così come avviane con le tristemente note leggi regionali anti-moschee). Tra l’altro analoga proposta era stata fatta sempre da Tommaso Foti, onorevole di lungo corso, anche durante la scorsa legislatura quando sicuramente non c’erano i numeri per farla approvare.

Cosa fanno le organizzazioni islamiche?

Assodato che la differenza tra centrodestra e centrosinistra è quella che vige tra oppositori dichiarati e non-amici, ribadito che nessun colore politico ha mai avuto a cuore la libertà religiosa costituzionalmente orientata e che questo danneggia soprattutto i musulmani, resta da spendere due parole su come hanno reagito le organizzazioni islamiche a questa proposta di legge.

Potremmo anche fermarci qui perché non c’è stata alcuna reazione formale da parte di queste organizzazioni ma va ricordato che le stesse sono eternamente impegnate nelle rispettive procedure di accreditamento istituzionale (che recentemente hanno anche prodotto avanzamenti per la CoReIs e per l’UCOII). Emerge quindi che non vi è convergenza tra i legittimi interessi di queste organizzazioni e il legittimo diritto al culto delle persone che le stesse dichiarano di voler rappresentare e tutelare (proprio per le esigenze di culto). Quindi, cosa possono fare i musulmani?

In assenza di qualsivoglia rappresentanza utile alla causa, sia essa politica o confessionale, va innanzitutto costruita una cosciente rete sociale che in casi come questo eserciti la scelta obbligata dell’opzione vertenziale in tutte le sedi possibili, non solo quelle italiane. Bisogna ovviamente sollevare il caso mediaticamente e farlo anche a livello internazionale.

Il vice-Premier Antonio Tajani ha appena nominato agli Esteri l’inviato speciale per la promozione della libertà religiosa e per la tutela dei cristiani nel mondo. Magari inizierà la sua missione, per la quale gli facciamo i migliori auguri, proprio confrontandosi con gli stati mediorientali che eventualmente, anche in maniera strumentale, gli dovessero chiedere delle norme anti-moschee in Italia. E chissà che non sia la volta buona che i musulmani escano dai garage, dai capannoni e dal mimetismo religioso, e che la si smettano di accontentarsi del paternalismo di stampo progressista.

di FRANCESCO TIERI 

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