Profughi palestinesi siriani: Unrwa, Unhcr o nessuna delle due?
Nella guerra in Siria nessuno fa distinzione delle vittime per nazionalità e non vorremmo farlo noi qui. Ma un preciso gruppo di abitanti della Siria si distingue, perché discriminato. La distinzione è quella connotata dallo status particolare che gli è stato assegnato sin dal passato. Sono i palestinesi siriani, profughi sotto l’eterna egida di Unrwa, l’agenzia Onu in Medio Oriente.
Con la violenza, la distruzione, la perdita di ogni bene in Siria, i palestinesi muoiono (3mila) o vengono arrestati (800) e perseguitati, sono desaparecidos (300), perdono le proprie case (gli sfollati interni oggi sono oltre il 50% della popolazione originaria di palestinesi in Siria) e, come fanno tutti coloro che sono esposti al rischio della morte, anch’essi si mettono in fuga per la propria sopravvivenza. In questo movimento, essi diventano un’altra volta profughi.
Le zone e i campi in Siria abitati in prevalenza da palestinesi; Dara’a, Khan Al-Shaiykh, ‘Ain Al-Tal, Yarmuk e i restanti, sono stati tutti pesantemente bombardati e isolati. Sono cimiteri viventi dove l’acqua è venuta mancare anche per 400 giorni consecutivi (800 giorni l’elettricità).
Il 15% ha abbandonato la Siria e in maggioranza si sono diretti verso i paesi confinati dove hanno ricevuto lo stesso trattamento di “non riconoscimento di uno status legale”.
La distinzione che cercheremo di porre in evidenza è quella derivante dalla limitazione del godimento del diritto alla protezione o all’intervento previsto per i profughi che fuggono dalla Siria e che giungono in Giordania, Egitto, Libano e Turchia.
In Giordania sono circa 15.500 i profughi palestinesi siriani. Sebbene si registri oggi una tendenza ad alleggerirla, dal 2013 il governo hashemita ha introdotto una politica di divieto d’ingresso nel paese per i palestinesi siriani e chi tra questi riesce a entrare lo fa irregolarmente. Di conseguenza rischiano arresto e deportazione in Siria. In Giordania i profughi palestinesi che fuggono dalla Siria non hanno diritto a vivere nei campi allestiti per i siriani sul proprio territorio. Se rintracciati in stato di irregolarità, vengono trattenuti a Ciber City, un vero e proprio Cie nel nord del paese. La sola alternativa a Ciber City è il ritorno in Siria.
In Libano si trovano 45mila profughi palestinesi siriani. La politica qui attualmente in vigore e improntata per affrontare l’emergenza profughi dalla Siria si sovrappone all’approccio della politica libanese della non integrazione nei confronti dei palestinesi. Beirut richiede ai palestinesi siriani di munirsi preventivamente di visto d’ingresso la cui durata non può comunque eccedere i nove mesi di permanenza sul territorio. Il Libano accoglie unicamente le domande dei palestinesi iscritti nelle liste Unrwa e solo nel caso in cui questi abbiano già ottenuto un visto per un paese terzo. Tra l’altro queste liste sono state ridotte nel tempo. E’ stata fatta una “scrematura generazionale” tra i beneficiari e l’Agenzia Onu non è in grado di fare una programmazione emergenziale dal momento che non riceve fondi per i nuovi profughi. Nessuna capacità di adattamento alle nuove esigenze dunque da parte dell’ONU. Le restrizioni al loro soggiorno nel Paese si ripetono nella fase di rinnovo della residenza, esponendo i profughi al rischio di entrare nell’irregolarità con l’effetto di essere arrestati e deportati in Siria.
L’Egitto ospita 6mila profughi palestinesi siriani. Sebbene in senso proibitivo, nel caso egiziano l’incertezza del loro status è “definita”. Il Cairo, dove Unrwa non è presente, si rifiuta di far registrare i palestinesi siriani nelle liste Unhcr.
Ciò significa l’impossibilità per i profughi di chiedere un visto per recarsi in Egitto. L’unico visto previsto dall’Egitto è della durata di un mese e il suo rilascio è condizionato all’autorizzazione della sicurezza. L’ipotesi di rilascio è pari a zero. Come altrove, se rintracciati vengono arrestati e deportati in un paese terzo. Numerosi i casi di espulsioni collettive dall’Egitto di rifugiati palestinesi siriani.
Turchia. Dell’ambiguità della posizione Turca e degli accordi e intese con l’Unione Europea in materia di immigrazione è stato scritto abbondantemente in questi mesi. In Turchia si trovano 8mila rifugiati palestinesi siriani e vivono per la maggioranza nel sud. Ankara non è dotata di una legislazione nazionale in materia di asilo, vale a dire che si registra un vuoto legislativo che contribuisce a indebolire il principio di non respingimento (art. 33 Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951). L’articolo sancisce il divieto del ritorno forzato nel paese di origine. Si è scritto anche dell’ampio ricorso alla forza da parte della polizia costiera turca verso i migranti, gruppo in cui rientrano pure i palestinesi in fuga dalla Siria.
Nonostante la retorica del governo turco verso il popolo palestinese, Ankara continua a proibire a quanti fuggono dalla morte in Siria l’ingresso nel Paese se sprovvisti di visto.
Similmente all’Egitto, in Turchia i rifugiati palestinesi siriani non hanno titolarità a nessun’assistenza. Idealmente dovrebbero rientrare nel programma Unhcr ma, giacché non si è definita una trattazione giuridica nel paese sul riconoscimento dello status di rifugiato, il loro destino resta incerto.
Di fronte a tanta ostilità i palestinesi siriani guardano all’Europa (36mila l’hanno raggiunta negli ultimi quattro anni), affrontando il pericolo del mare e ricominciano da zero tentando di avviare altre tortuose procedure per una definizione del proprio status legale.
I palestinesi siriani costituiscono una categoria di profughi distinta dal resto di persone che fuggono dalla Siria. La loro esclusione deriva dall’art.1 (D) della Convenzione sul Rifugiato in base al quale La presente Convenzione non potrà applicarsi a coloro che beneficiano attualmente di protezione o assistenza da parte di organi o agenzie delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (…).
Da ente garante la tutela dei palestinesi in Medio Oriente, Unrwa diventa un dispositivo per praticare discriminazione. Bisognerebbe interrogarsi sulla natura del mandato di ciascuna di queste agenzie, per una loro revisione e riforma.
In conclusione i profughi palestinesi siriani non possono beneficiare dell’assistenza di Unhcr poiché vengono esclusi dalla Convenzione del ‘51.
Un’altra strada da intraprendere per la loro protezione derivante da uno stato di estrema vulnerabilità esiste e risiede nella legislazione internazionale sui Diritti Umani.
Essi infatti fanno parte delle categorie “trattate” da numerose altre convenzioni e protocolli del diritto internazionale: quello contro la Tortura, sull’Infanzia o sui Diritti Civili e Politici. Facendo una lettura attenta e fornendo un’interpretazione contestuale alle dinamiche attuali che creano i presupposti per “erogare” protezione e garanzia dei diritti umani, ciascuna di queste convenzioni affievolirebbe il rischio di una violazione del principio di non respingimento, tra l’altro, vincolante anche per gli Stati non firmatari.
di Elisa Gennaro