Appelli contro la pirateria al G7 di Firenze
E’ di questi giorni la notizia dell’appello contro la pirateria online, lanciato dai colossi della produzione musicale, cinematografica e televisiva, quali Sky, Mediaset, Walt Disney, Sony e Bbc, proprio nella giornata di apertura del G7 della Cultura a Firenze.
I detentori di gran parte dell’industria occidentale dello sport e dello spettacolo fanno quadrato attorno ai loro interessi, lo fanno in maniera plateale, accorata, tirando in ballo anche quei giovani che aspirano a fare della creatività il loro futuro professionale. Miliardi di dollari (circa 2,25 annui) di investimenti rischiano di andare in fumo a causa della illegale e sistematica diffusione via web di materiale protetto da copyright.
L’impatto è tale da venir paragonato al traffico di opere d’arte, e rischia seriamente di mettere in ginocchio l’intera filiera, dal direttore di produzione alla truccatrice. Quello della pirateria è un fenomeno antico e mai esauritosi. Lo scenario non è più sui mari e sotto le insegne del famigerato Jolly Roger, ma nello sconfinato Web, affiancato a termini quali streaming o torrent.
Ciò che residua tuttavia è lo spirito: un misto fatto di voglia di affrancazione dalle regole imposte dall’establishment ed avidità alimentata da prospettive di guadagni facili e senza colpo ferire. In mezzo si trova l’utente. Secondo la stima riportata nella lettera-appello circa il 30% degli utenti di Internet in tutto il mondo accede regolarmente a contenuti illegali. Si ripropone quindi in maniera drammatica l’annosa questione del contrasto tra libertà di fruizione dell’arte e della cultura e la tutela del diritto d’autore.
In un’intervista di qualche anno fa Vince Gilligan, autore della fortunata serie tv statunitense Breaking Bad si è trovato a dover ammettere che, nonostante tutto, la pirateria aveva giocato un ruolo fondamentale sulla popolarità della sua creatura.
Appellarsi alla coscienza del bimbo che si trova alla portata del vaso di marmellata aperto, lascia il tempo che trova. Invocare una regolamentazione seria ed univoca che sia in grado di soddisfare entrambe le istanze sarebbe altamente auspicabile.
I firmatari del documento hanno per decenni costruito imperi economici abnormi proprio su quella creatività, alla quale, tardivamente e con grave colpa, essi adesso riconoscono scrupolosa attenzione. La stessa scrupolosa attenzione che già all’apertura della lettera viene prestata a quei giovani creativi, che per anni sono stati sfruttati appannaggio delle fortune dell’Ad di turno.
La chiave del problema va ricercata nel doveroso superamento delle vecchie politiche colonialistiche e conservatrici tipiche di chi, da quando esiste il business dell’intrattenimento non ha fatto altro che monetizzare l’arte, la cultura ed ogni espressione dell’estro e della sensibilità umana.
Già in parte si è provveduto, da parte degli operatori del settore, ad intraprendere nuove vie di diffusione dei contenuti digitali in maniera legale, controllata ed in una forma che si avvicina all’equità. La strada da percorrere, tuttavia, sembra ancora lunga, anche a causa dell’effetto Hydra conseguente agli oscuramenti collettivi di grandi siti di streaming illegale, dai quali poi prendono vita migliaia di siti minori ma ugualmente agguerriti.
Dovrebbe auspicarsi, invece di invocare in forma di dramma, una reale collaborazione fra autorità, operatori ed utenti in grado di focalizzare le falle nel sistema piratesco. La diffusione selvaggia ed illegale dovrebbe subire un forte ridimensionamento se solo gli operatori approntassero un sistema più equo e semplificato di accesso dei contenuti, scevro da obblighi di censimento e soprattutto da sistemi di marketing attualmente troppo aggressivi ed invasivi.
L’autorità, dal canto suo, dovrebbe essere in grado di riconoscere e tutelare il download per fruizione personale senza scopo di lucro, abbandonando la linea di indiscriminata punizione di chiunque venga a trovarsi in possesso di contenuti protetti da copyright.
L’intrattenimento è un business e va debitamente regolamentato nei confronti ed a tutela di chi lo alimenta. Una tutela, tuttavia, che non può tradursi in alcun modo nella repressione dell’interesse collettivo alla libera diffusione del sapere.
di Massimo Caruso