Primo Piano

Renzi e Letta, staffetta con falsa partenza

di Vanessa Aiosa

Nell’immaginario collettivo Renzi avrebbe dovuto indossare un accattivante e giovanile giubbotto di pelle alla Fonzie, per agire e per farlo velocemente. Infatti, nel suo turno di corsa, ha velocemente strappato il testimone a Letta; ha velocemente cambiato idea su “No ad un governo delle larghe intese”;  ha preso velocemente atto che è possibile modificare la legge elettorale in tempi lunghi. Bene, siamo adesso pronti per dare il via alle tanto acclamate “riforme”, dal contenuto e soprattutto dall’orientamento mai ben precisati.

Letta è stato licenziato dall’ “Impresa Italia”, nonostante l’Impegno Italia, il quale comunque troverà continuità. Quali sono le inaccessibili direttive dall’alto, quanto in alto si trovino, non è dato sapere.

La Lettera di licenziamento scritta da Renzi gli è stata recapitata l’altro ieri ed è stata firmata dalla stragrande maggioranza della direzione. Come se i tre milioni di italiani che hanno votato alle primarie facessero l’Italia. “I milioni di italiani che mi hanno votato” è una frase a cui d’altronde siamo stati abituati da Berlusconi, in barba al controllo giudiziario e all’equilibrio tra poteri. Oggi il consenso citato è pure extraparlamentare, quello delle Primarie del Pd.

Ad un governo di servizio succederà un governo politico, che abbia l’orizzonte di legislatura, così recita la lettera di licenziamento. Cosa intendere per “Politico” se non un governo democraticamente eletto? Non crediamo ci siano i presupposti per darne questa definizione. Ieri Letta ha rassegnato le dimissioni nelle mani di Giorgio Napolitano.

I luoghi della decisione sull’esecutivo sono quindi: La sede romana del Pd e il Quirinale.

Nessuna parlamentarizzazione della crisi. D’altronde se le intese sono larghe, non è necessario passare dal Parlamento. Se tra Alfano e Letta veniva fuori una nuova parola “Alfetta” (che non è nuova se si pensa all’automobile, ma che simpaticamente richiama un altro orizzonte semantico), tra Renzi e Alfano invece vien fuori “Renziano”. Non si sposta nulla (a meno che la A vada in maiuscolo), tutto quadra. Sarà solo inferiore il numero dei ministri a destra.

Tra l’altro i parlamentari sono troppi, esasperano le casse dello Stato, i procedimenti sono troppo lunghi. Più opportune senz’altro le veloci decisioni di un partito e del Quirinale. E’ quello che serve all’Italia! Non c’è tempo. Bisogna agire subito e fare le cosiddette cose “concrete”, in piena sintonia con la “Cultura del Fare”. Efficienza! L’Europa ce lo chiede.

Questi sono i risultati dell’azzardata e incosciente retorica anti-istituzionale: un Parlamento delegittimato che scandalizza pochi.

I nuovi volti giovani del Pd riempiono da qualche mese i programmi serali di attualità. I loro lineamenti delicati (rasata per sempre la barbona dei maschi, occhialino vintage delle donne ceduto per un wonderbra) accompagnano slogan e motti preconfezionati. “Verso il cambiamento”, “Ci hanno rubato il futuro, andiamo a riprendercelo”, “Bisogna avviare le riforme”. Questo hanno imparato durante i corsi di formazione. Ops, durante la “militanza” all’interno del partito. Come poter chiedere loro di più? Viva il giovanilismo, è ciò che serve all’Italia!

Il contenuto dell’articolo 41 secondo e terzo comma della Costituzione (utilità sociale dell’iniziativa privata e intervento statale) il giovane piddino non lo ricorda. Non ricorda le grandi battaglie sui rapporti economici all’interno della Costituente. Non c’era scritto nel suo manuale. Poco importa! La sua reazione sarà di certo “Tu sei solo un nostalgico”. Della Carta ingiallita si limita a citare qualche principio fondamentale, sedimentato nel linguaggio, molto meno nel pensiero. Gli basta per far capire agli “Italiani” che “La cultura è importante”.

Quanto abuso si fa della parola “cultura”; quanto abuso si fa, ancora una volta, della parola “Italiani”.

Ieri, alla rinuncia dichiarata anche del linguaggio di sinistra, di cui ancora Bersani si faceva portavoce, si è unita anche la rinuncia della forma democratica, senza far troppo scalpore.

Potremmo anche vederci qualcosa di positivo. Oggi, in mezzo al caos che immobilizza, qualcosa si semplifica. La forma aderisce finalmente al contenuto. Erano rimaste solo le parole di sinistra? La nuova direzione le ha esplicitamente abolite, per aderire, anche nel linguaggio e non solo nella sostanza, al modello americano di Obama e a quello inglese di Blair. Si dice in tutti i bar d’Italia che la democrazia in Italia è finita da un pezzo, se ci fosse mai stata? Bene, adesso il Parlamento viene esplicitamente scavalcato. Forma e sostanza coincidono. La nebbia comincia a schiarirsi.

Vogliamo abbandonarci anche noi all’uso generico del termine “Gli Italiani”, di certo però non orientato a scopi elettorali.  Gli Italiani del Duemila sono un popolo di assuefatti e impotenti, per la loro stessa ignoranza, mascherata da un più elevato tasso di istruzione e da un alto livello di specializzazione tecnica: assuefatti dall’illusoria conoscenza. La “cultura” resta lettera morta se non viene messa al servizio di una critica profonda dell’esistente. Diversamente, è una pericolosa anestesia che mantiene lo status quo.

E nel frattempo Berlusconi studia nuove strategie per rifondare la sua verginità politica, prova certa della sua immortalità, trovando facili strumenti per fare opposizione.

Se vi trovaste al Museo del Novecento di Milano, trovereste davvero illuminante l’accostamento de “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo” ad una fotografia di Massimo Bartolini, “My Fourth Homage” (posizionata nella rampa prima di arrivare al famoso dipinto). Trova le differenze!

Uomini in ginocchio, statici, non avanzano più come immaginati e realizzati da Pellizza da Volpedo nel 1900. Sono distanti fra loro e non comunicano. Manca il bimbo portatore di Futuro  in braccio alla donna.

E’ il Quinto Stato, composto da una popolazione fluttuante di precari, dipendenti o con partita Iva, lavoratori qualificati e mobili, sottoposti ad una flessibilità permanente.

La separazione tra cittadinanza e attività lavorativa, identità di classe, comunità politica e Stato è compiutamente avvenuta (1).

E’ molto più accattivante in effetti la retorica dell’“Uno su mille ce la fa”, espressione insanamente trasformata da motto del singolo, a osceno motore e paradigma sociale. Tutti in attesa della promozione e del riconosciuto merito. Miti sociali dell’ultimo ventennio, aberranti.

Continuiamo a concentrare la fiamma del dibattito su Unioni Civili, Immigrazione, anti-berlusconismo e su cosa faresti alla Boldrini. Questa parvenza di dibattito ci fornirà quel giusto equilibrio di sentimenti tra il fervore dello scontro e la serena pace del “Ho detto la mia”. E’ quello che serve all’Italia?

Resterà comunque la sensazione del “non riesco ad acchiappare la farfalla”. C’è qualcosa che ti sfugge e non sai cos’è.

Il tempo stringe. Corri, corri Italiano, per non andare da nessuna parte.

[1] G. Allegri, R. Ciccarelli, “Il Quinto Stato”. Ponte alle Grazie, 2013.

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