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Papa Francesco e il nuovo ponte tra Islam e Cristianesimo

Cristianesimo e Islam per molto, troppo tempo sono stati contrapposti, e soprattutto il confronto tra Cattolicesimo e Islam è stato aspro, per la persistente eredità d’antichi preconcetti che dall’una e l’altra parte hanno ostacolato il dialogo. Eppure sono le due religioni più diffuse, provengono entrambe da quel ceppo abramitico che le accomuna e leggendo i loro testi sacri con occhio sereno, i principi morali che le reggono si sovrappongono.

Il fatto è che troppa storia è passata sopra i popoli, e troppo spesso le religioni sono state lo spunto, l’occasione, per giustificare cose (troppo spesso crimini), che con le religioni non avevano nulla da spartire. E questo dall’una e dall’altra delle parti.

Inoltre, parlare di Cristianesimo e di Islam è una semplificazione che ci impedisce di comprendere: se già ad un occidentale non è agevole cogliere appieno le differenze profonde, spirituali ma soprattutto culturali, che dividono il Cattolicesimo dalle varie confessioni protestanti e ancor più dai vari movimenti evangelisti, figuratevi come possano essere comprese da un mussulmano. E l’Islam stesso è tutt’altro dall’essere un mondo di valori da racchiudere in un’unica parola: gli Sciiti, che sono una minoranza di poco più del 10% della comunità dei credenti del Corano, sono concentrati in un’arco che va dai confini dell’Afghanistan fino al Libano, attraverso Iran (che ne è il centro), Iraq e Siria. A differenza degli altri hanno un clero strutturato e parlano con una voce assai omogenea, e per questo possono comprendere meglio il Cattolicesimo. Per i Sunniti il discorso è assai diverso: è percorso da troppe correnti di pensiero e in troppi si eleggono ad imam o addirittura a muftì, traendo la propria autorità da una popolarità effimera, spesso carpita inseguendo temi che di spirituale hanno assai poco.

Per comprendere bisogna pensare che, soprattutto i Sunniti, hanno vissuto come un trauma l’occupazione israeliana della Palestina: è stato un atto politico (se politico può essere definito), certo, ma che ha avuto un’immensa valenza religiosa, perché Gerusalemme è per loro il secondo luogo santo dopo la Mecca. Ne è derivata la percezione netta d’aver subito la più grande ingiustizia del XX° secolo, che ha condotto vasta parte della comunità sunnita ad una complessiva radicalizzazione, e a un distacco dalla razionalità per rifugiarsi a un Islam delle origini che è “din wa dewla”, Religione e Stato. E a un diffuso preconcetto contro l’Occidente, visto come complice d’Israele.

In un simile quadro difficile, complicato dalle ferite aperte delle reazioni Occidentali all’11 settembre, dell’Afghanistan e dell’Iraq, Papa Ratzinger, un fine intellettuale mitteleuropeo, non era culturalmente in grado di dialogare; era quanto di più distante potesse immaginarsi dal linguaggio dell’Islam.

A Ratisbona, nel 2006, quando con le migliori intenzioni fece una dotta citazione, fu clamorosamente frainteso, suscitando un coro di proteste da tutto il mondo mussulmano; lo stesso avvenne nel 2011, quando intervenne a favore della comunità copta d’Egitto oggetto d’attentati ripetuti, suscitando la reazione di Ahmad al Tayyib, rettore di Al-Azhar, la più prestigiosa istituzione sunnita. Era un chiaro problema di comunicazione, che poco aveva a che fare con i contenuti.

Bergoglio, eletto Papa, ricevette numerosi riconoscimenti da un mondo mussulmano che, malgrado tutto, era ed è pur disponibile al dialogo: lo stesso al Tayyib auspicò il superamento delle incomprensioni e il ristabilimento di relazioni normali con l’Islam. Ma Bergoglio è diverso: viene dalle periferie del mondo e comprende che gli atti parlano meglio delle parole; assumere il nome di Francesco (per primo nella Chiesa) è già un programma dirompente e più che mai attuale.

In occasione della festa del Eid al Fitr, la fine del Ramadan, volle essere lui ad inviare all’Islam il messaggio d’augurio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Era un messaggio che parlava di rispetto, gentilezza e stima, ma su una base di reciprocità fra le due fedi. Subito dopo, a settembre, Bergoglio si spese senza riserve per la pace in Siria, fermando l’attacco già pronto, e suscitando vastissimo plauso nel mondo islamico; lo stesso al-Din Hassun, gran Muftì di Siria, si unì alla sua iniziativa. E a ottobre, quando si recò a Lampedusa per rendere omaggio alle vittime della tragedia, erano mussulmani i morti che onorava e mussulmani i superstiti che confortava.

Erano gesti chiari, semplici e diretti, fatti per essere compresi ben diversi dallo stile della Curia. Di Francesco non ha solo preso il nome, ma l’umiltà con cui manda un messaggio di dialogo, di rispetto, d’attenzione per chi soffre ed è emarginato. Ma umiltà non significa piaggeria, è considerazione dell’altro senza abdicare ai principi, e la fermezza di questi è fuori discussione.

Se da un canto sono molti i temi di confronto con l’Islam, dall’altro i musulmani sono rassicurati da un leader, di gran lunga il più autorevole capo spirituale al mondo, che tiene ferme le fondamenta morali della propria fede. È il relativismo, il laicismo che rifiuta ogni spiritualità che più offende l’Islam e gli fa rifiutare l’Occidente; così, Bergoglio, che afferma che la tragedia armena è il primo genocidio del XX° secolo, fa infuriare il Governo turco, ma non il mondo mussulmano. E anche il tema delle sistematiche persecuzioni delle comunità cristiane in tante parti del mondo, non è occasione di frizione ma di confronto.

Molte sono le personalità islamiche che riconoscono al Papa rispetto e dialogo, pur nella comprensione della sua funzione di guida del mondo cattolico, e sono d’accordo con l’esortazione che lui ha fatto nell’Evangelii Gaudium del novembre 2013, quando, raccomandando libertà di culto e integrazione per i mussulmani residenti in Paesi cristiani, in nome delle comuni radici di Abramo, reclamava lo stesso per i cristiani residenti nei Paesi islamici.

L’Occidente cristiano, da tempo sta perdendo la sua dimensione religiosa; l’Oriente islamico, esasperato da troppi accadimenti, abbandona la razionalità per rifugiarsi nelle certezze del radicalismo. È un problema essenzialmente culturale, e la cultura di Bergoglio, il dialogo, ma vero, fra uomini che hanno principi solidi, è fatta per essere intesa. Insieme, Cristianesimo e Islam, possono lavorare per costruire un mondo che riconosca le sue radici comuni.

di Salvo Ardizzone

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