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Papa Francesco: “Basta capitalismo selvaggio”

di Mauro Indelicato

Il mondo ha imparato a conoscerlo da circa due mesi, da quando il 13 marzo scorso, affacciandosi per la prima volta vestito di bianco dalla loggia di San Pietro, ha salutato i fedeli con un semplice “buonasera”; da quel momento, anche molti non credenti hanno iniziato a sperare in una mossa riformatrice di Papa Bergoglio, il cui nome scelto, Francesco, evoca una certa sobrietà ed una certa voglia di discontinuità da una Chiesa finita nelle tempeste degli scandali dell’ultima parte del pontificato di Ratzinger.

A distanza di quasi cento giorni, che profilo tracciare del primo vescovo di Roma proveniente dalle Americhe? Mediaticamente l’impatto è stato forte e quasi unanimemente positivo; adesso, sembra che l’ex Arcivescovo di Buenos Aires voglia spegnere un pò i fari ed i riflettori, procedendo ad un profilo più basso, quasi chiedendo al mondo un pò di silenzio per cercare di carpire cosa si celi dentro quelle stanze apostoliche da lui poco frequentate, visto che gran parte della giornata la passa dentro la Domus Santa Marta.

Dettaglio, questo, da non trascurare: per chi non lo sapesse, Santa Marta è sì all’interno di Città del Vaticano, ma è fisicamente staccata dai palazzi apostolici dove hanno risieduto e lavorato gli ultimi suoi 11 predecessori e dove ci sono gli uffici della curia e soprattutto della Segreteria di Stato.

Guardando in prospettiva dal centro di piazza San Pietro verso la Cupola della basilica più famosa al mondo, mentre i palazzi apostolici si trovano accanto al braccio destro del colonnato del Bernini, la residenza dove risiede il Papa è invece dietro l’abside di San Pietro, raggiungibile dalla strada che porta al governatorato ed alla stazione vaticana.

Insomma, un distacco fisico dalla nomenclatura della curia, che non sembra frutto del caso o di una semplice decisione di sistemazione logistica: risiedendo nella Domus, Papa Francesco è meno vincolato ai cerimoniali, può celebrare la messa mattutina delle 6 senza rivelare o anticipare i contenuti delle omelie alla Segreteria di Stato e questo sta mettendo un subbuglio i prelati vaticani.

Infatti, gran parte dei discorsi dei Papi, passavano dall’ufficio per adesso retto dal cardinal Bertone e, anche se non si operavano censure verso i pontefici, quel passaggio costituiva però una forma di riconoscimento dell’importanza del ruolo della segreteria; adesso invece, Bergoglio non preannuncia più omelie, Angelus o altro, l’unico ufficio a cui si rivolge è direttamente quello preposto della Radio Vaticana, bypassando le vie ufficiali dei palazzi apostolici.

Questo è un primo significativo cambiamento: dentro i palazzi vaticani, il cerimoniale ha un’importanza vitale e vedere un pontefice lontano dall’appartamento papale che scrive di pugno i discorsi o parla a braccio senza preannunciare i contenuti a nessuno, di certo non farà sorridere i curiali.

Alcuni si chiedono, come mai il Papa, al di là di questi primi gesti simbolici, non abbia fatto ancora passi eclatanti da prima pagina. La risposta, può essere data, come detto prima, dal tentativo di Bergoglio di studiare a fondo la situazione ed iniziare a “picconare” per il momento nel corso delle sue omelie o dei piccoli gesti, come quello della lavanda dei piedi del Giovedì Santo scorso, fatta a 12 ragazze del carcere minorile di Roma.

La Chiesa, si sa, non ha le sembianze di uno Stato nazione ed ha dei tempi diversi rispetto a quelli di altre istituzioni; la Santa Sede, ha nelle sue spalle un miliardo e mezzo di cattolici sparsi in tutto il mondo e dunque ogni mossa di un vescovo vestito di bianco a Roma, potrebbe rischiare di scindere in mille pezzi equilibri fragili e delicati.

E’ stato il tormento, del resto, dei Papi post–concilio Vaticano II: Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno più guardato allo spauracchio di nuove scissioni interne alla Chiesa che ad applicare le riforme contenute nei documenti conciliari, facendo rimanere al palo però la Santa Sede su diverse questioni e su importanti tematiche.

Oggi, la volontà di recuperare il tempo perduto, Francesco dimostra di averla: a poco a poco, tra un’Omelia ed un’altra, lancia importanti segnali e scava il solco entro il quale si muoverà la sua azione di governo della Chiesa.

“San Paolo non aveva mica il conto in banca, eh…”, oppure “Care suore, siate madri e non zitelle”, sono solo alcune delle frasi che Papa Francesco ha pronunciato in questi giorni nel corso dei vari incontri: “Lo IOR è importante, ma fino ad un certo punto” è un’altra espressione che fa comprendere il percorso che prenderà la sua Chiesa.

Importante, perché mai ammesso da nessun altro pontefice in questi anni, la frase sui “cristiani da salotto”: “Un cattolico che resta seduto a far salotto e non agisce, non è bello. Il cristiano deve nuovamente imparare ad essere scomodo”, ha dichiarato il Papa, evocando un corpo religioso meno secolarizzato e più vicino invece alla società ed agli immensi problemi che per adesso la crisi porta.

Proprio sulla crisi, Francesco ha iniziato a battere parecchio in questi ultimi giorni; dopo il colloquio con il cancelliere tedesco Merkel, in visita a Roma, in un incontro con alcuni vescovi ha dichiarato: “La gente muore di fame, eppure qui si pensa a salvare le banche”. Ma è delle scorse ore la frase più forte da questo punto di vista: “Il capitalismo sfrenato – ha affermato in un incontro presso una mensa per i poveri gestita in quartiere romano – ha prodotto una società che estremizza le logiche del profitto, che lascia fuori gli ultimi e che non bada a logiche dell’amore. E questi sono i risultati, sotto gli occhi di tutti, con una povertà che avanza sempre di più”.

Toni molto duri contro il sistema economico, pronunciati dal cuore di Roma e non è un caso forse che la persona che giorni fa è salita fino alla cupola di San Pietro per esporre uno striscione contro l’euro, abbia implorato l’aiuto del pontefice: “Papa Francesco, ci liberi dalla morsa dell’euro” era la frase usata.

Insomma, l’impressione, in generale, è che Sua Santità stia procedendo a tappe, senza forzare i tempi, evitando già da adesso dissidi interni alla Chiesa; un percorso a gradoni, in cui al momento, tramite l’uso della parola e dei gesti, mira a far capire il cammino che intraprenderà il suo ministero pietrino. Dalle parole ai fatti, secondo i bene informati, si passerà soltanto dal mese di ottobre, quando si insedierà la commissione cardinalizia incaricata di discutere la nuova riforma della curia, presieduta da quel Josè Luis Maradiaga, honduregno ed apprezzato cardinale di Tegucigalpa, che già in passato ha dimostrato di essere molto vicino alle vedute dell’allora cardinal Bergoglio.

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