Netanyahu e l’invenzione dello Stato ebraico
Netanyahu e l’invenzione dello Stato ebraico. E’ un conflitto che si combatte oramai al di là di ogni ragione, una guerra che infligge odio dalle più piccole generazioni fino a perdere le tracce dell’originale problema. Quello del conflitto Israelo–palestinese spesso non può nemmeno esser ritenuto un conflitto: perché ciò implicherebbe l’esistenza di due forze opposte, quasi di pari livello, che si scontrano contendendosi la vittoria. Ma chi ha occupato la terra di chi? Chi ha costruito i muri di apartheid? Chi dispone di un esercito di soldati messi lì a decidere se puoi valicare o meno una Striscia di terra? Oggi Israele esige dai palestinesi il riconoscimento del carattere esclusivamente ebraico dello Stato, uno Stato che nel 1948 venne fondato non senza polemiche ed interessi.
“I palestinesi devono rinunciare al loro rifiuto a riconoscere il diritto del popolo ebraico al loro Stato nazionale”, lo ha affermato il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu in un discorso all’università di Bar Ilan, vicino a Tel Aviv. Tutto ciò, dice lo stesso, per raggiungere un vero accordo di pace.. pace che però, come vediamo giornalmente, sembrerebbe non lasciare nemmeno traccia. Lo abbiamo già visto quando, a soli tre giorni dalla ripresa dei colloqui di pace coi palestinesi, Israele da il via libera per la costruzione di 1200 nuove case tra Gerusalemme e la Cisgiordania, azione che ha irrimediabilmente suscitato la protesta di diversi gruppi palestinesi e divisioni interne riguardo la posizione da intraprendere sull’efficacia dei negoziati e il rilascio di alcuni prigionieri.
Lo stesso portavoce del governo palestinese, Ihab Bassiso, ha diverse volte affermato che Usa e Unione Europea sono entrambi contrari alla politica di insediamento, considerata illegale dalle comunità internazionali come gli stessi muri condannati dalla corte dell’Aja nel 2004. Ma chi sta facendo nulla per fermare la politica israeliana? “Ripeti una bugia continuamente dieci, cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” diceva Goebbels. Ma lo stesso lo diceva parlando della Shoa, un nome troppe volte ripetuto in confronto a quello che riassume in sole 5 lettere la grande diaspora palestinese: “Nakba”.
Ripercorrendo a ritroso vicende di storia fondamentali per spiegarci il presente, un ruolo importantissimo assunse l’esito della prima guerra mondiale in cui la sconfitta dell’Impero Ottomano fece sì che il Medio Oriente diventasse pane per appagare la fame capitalista di inglesi e francesi. Se Siria e Libano passano sotto il controllo francese, la Giordania e la Palestina vanno sotto quello inglese con il mandato britannico. Un controllo che prende il nome di “Dichiarazione di Balfour”, nata per aiutare sempre più il grande disegno sionista: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”, il motto che descriveva come “senza popolo” una terra abitata allora da 644mila Arabi in confronto ai 56mila Ebrei.
Qual era l’interesse dell’Inghilterra? Sicuramente quello di assicurarsi in quella terra la presenza di un popolo di coloni europei (filo-britannici) in modo tale da controllare i traffici sul Canale di Suez.
Ma ritorniamo indietro: a chi gli inglesi avevano già promesso la Palestina? Per vincere l’Impero Ottomano l’Inghilterra non aveva forse ottenuto l’aiuto degli Arabi in cambio di quella terra? Una terra che allora veniva adesso promessa contemporaneamente a due popoli, gli arabi e gli ebrei. Gli stessi inglesi iniziano a favorire l’Organizzazione sionista riconoscendo la sua giurisdizione su quella palestinese e collaborando a trasferire molte terre nelle mani israeliane. Nel 1929 gli ebrei sono già 170mila, cifra che aumenta dopo il periodo nazista e che provoca tensioni e guerre fino all’Intifada del ’36-39. Una lotta in cui il popolo arabo viene violentemente massacrato da parte del governo inglese che manda direttamente 20mila soldati.
Ben presto però la stessa Inghilterra capisce che il bisogno di petrolio (dei Paesi arabi) dovrà costringerla ad allargare le distanze con i sionisti. E così fa, frenando lentamente l’immigrazione ebrea in Palestina. Tutto ciò sfocia nella reazione terroristica dello Stato Israeliano che compie attentati contro il rappresentante inglese a Gerusalemme e all’Hotel King David con 91 morti; non per ultimo contro i palestinesi.
Solo nel 1947 l’Inghilterra rinuncia al mandato quando l’Onu propone la risoluzione 181 ovvero la spartizione del territorio ai due stati. Curioso è il fatto che agli ebrei che costituivano il 30% della popolazione totale toccò il 56,5% della terra. Il restante 42,5% ai palestinesi, ovvero il 70% della popolazione.
Diceva Gandhi: ”La simpatia che nutro per gli ebrei non mi chiude gli occhi alla giustizia. La rivendicazione degli ebrei di un territorio nazionale non mi pare giusta. La Palestina appartiene agli arabi come l’Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia appartiene ai francesi. È ingiusto e disumano imporre agli arabi la presenza degli ebrei. Ciò che sta avvenendo oggi in Palestina non può esser giustificato da nessun principio morale. I mandati non hanno alcun valore, tranne quello conferito loro dall’ultima guerra. Sarebbe chiaramente un crimine contro l’umanità costringere gli orgogliosi arabi a restituire in parte o interamente la Palestina agli ebrei come loro territorio nazionale”.
Le chiamiamo ancora trattative di pace? Intanto il mondo intero continua a tacere su crimini di importanza internazionale, per poi riunirsi quando si tratta di spartite il bottino.
di Redazione