Nave Nivin, 79 migranti riconsegnati alla Libia
La vicenda della nave Nivin è finita come molti immaginavano e come purtroppo era destinata a finire. A bordo c’erano 79 migranti che si rifiutavano di lasciare l’imbarcazione panamense che li aveva recuperati a 60 miglia dalle coste del Mediterraneo. Un commando armato di militari libici ha fatto irruzione sulla nave e li ha costretti a sbarcare sul territorio libico. Ma cosa è successo di preciso?
La Nivin, che batte bandiera panamense, era in rotta dall’Italia verso Misurata (ultima posizione riferita prima dello spegnimento del transponder 34,41 Nord, 13,58 Est, con rotta 146°, a circa 70 miglia da Misurata), quando riceve una richiesta di intervento dalle autorità di ricerca e salvataggio italiane e maltesi per una operazione Sar (search and rescue) in favore di un barcone carico di un centinaio circa migranti, alla deriva in alto mare. Dalle rilevazioni che sono rimaste disponibili al pubblico sembra che il soccorso sia avvenuto al limite tra la zona Sar libica e quella maltese. Le stesse autorità italiane e maltesi indicavano successivamente al comandante della nave soccorritrice il trasferimento delle competenze di coordinamento al Comando congiunto della Guardia costiera di Tripoli (JRCC).
Il blitz dei militari libici è scattato subito dopo l’appello lanciato dai 79 migranti rimasti a bordo che si erano rivolti all’intera comunità internazionale, ma tutti hanno fatto orecchio da mercante anche se c’è da dire che l’Italia è stata protagonista dell’operazione di recupero, ma limitandosi a lasciare la nave ed i migranti a Misurata pur sapendo che i porti libici non sono catalogati come sicuri.
A testimonianza degli annunci ci sono due video uno dei quali vede protagonista un ragazzo di 16 anni che è reduce dal lager di Bani Walid che ha una fama sinistra conosciuto bene, visto che uno degli aguzzini che prestava la sua opera nel lager è stato arrestato a Milano nel gennaio dello scorso anno. Il ragazzo, Christin Igussol, è rimasto rinchiuso nel campo di accoglienza ed ha sperimentato sulla sua pelle l’operato dei libici, il cui fratello è morto a causa delle torture inflitte dagli aguzzini.
Sia il giovane Christin che gli altri protagonisti del secondo video hanno concluso che sarebbero stati disposti a morire piuttosto che tornare nuovamente nei campi gestiti dai libici, appello che è caduto nel vuoto vista la conclusione della vicenda dato che il blitz era solo una questione di tempo, tanto che due giorni prima Mohamed Al Haibani, sottosegretario all’Immigrazione del ministero dell’Interno di Tripoli aveva dichiarato che se i migranti avessero continuato a negare ogni trattativa il governo libico li avrebbe considerati degli infiltrati, ossia clandestini sottoposti alla legge libica. Anche il comandante del porto di Misurata si era lanciato in dichiarazioni che non lasciavano presagire nulla di buono, considerando i migranti come dei pirati e terroristi che hanno compiuto un ammutinamento per impadronirsi del cargo, accuse puntualmente smentite dall’equipaggio che non ha subito alcuna minaccia.
Il 19 Novembre sulla Nivin sono saliti un diplomatico libico e personale d’ambasciata dei Paesi da cui provenivano i 79 migranti; la delegazione ha chiesto che i 79 scendessero dalla nave assicurandogli protezione e un rimpatrio nei rispettivi Paesi, proposta che è stata nettamente rifiutata visto che nessuno voleva tornare da dove era scappato.
La mattina del 20 novembre la vicenda si è conclusa quando il molo è stato invaso dalle forze militari libiche che hanno fatto irruzione sulla Nivin sparando gas lacrimogeni, proiettili di gomma e picchiando selvaggiamente i 79 migranti che sono stati poi arrestati. Il bilancio del blitz è stato di 11 feriti, mentre tutti gli altri sono stati rinchiusi nei centri di detenzione nell’assordante silenzio della comunità internazionale che si è guardata bene dal mettere parola su quanto avvenuto in acque internazionali, contravvenendo alle più elementari norme della legge e del diritto nel momento stesso in cui alla Nivin è stato imposto di fare rotta verso la Libia che non è considerata un porto sicuro. A destare preoccupazione sono i destini dei 79 migranti rinchiusi nei lager libici visto che sono stati incriminati di terrorismo.
di Sebastiano Lo Monaco