Myanmar: massacri dei militari contro i Rohingya
Decine di Rohingya sono stati massacrati sommariamente dai soldati birmani nel villaggio di Maung Nu, nello Stato di Rakhine, il 27 agosto 2017, lo ha dichiarato mercoledì il gruppo Human Right Watch impedito a verificare il numero degli uccisi, due giorni dopo l’attacco di un avamposto della sicurezza locale.
A detta dei testimoni i soldati hanno picchiato, aggredito, pugnalato e sparato sugli abitanti del villaggio radunati in un complesso residenziale. Il gruppo Hrw non è stato in grado di stimare il numero degli abitanti uccisi. Le immagini satellitari analizzate dal gruppo mostrano la distruzione quasi totale dei villaggi di Maung Nu (noto localmente come Monu Para) e nelle vicinanze di Hpaung Taw Pyin (noto localmente come Pondu Para).
“Tutti gli orrori dei crimini dell’esercito birmano contro l’umanità, contro i Rohingya sono evidenti nelle uccisioni di massa nel villaggio di Maung Nu”, ha dichiarato Phil Robertson, vice direttore di Human Rights Watch per l’Asia. “Queste atrocità richiedono altro che parole dai governi interessati, hanno bisogno di risposte concrete”.
Il 28 settembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per discutere pubblicamente sulla Birmania per la prima volta in otto anni, ma non ha intrapreso alcuna azione. Hrw ha ribadito che il Consiglio e i Paesi interessati devono adottare un embargo sulle armi e sanzioni individuali, inclusi i divieti di viaggio e il blocco dei beni, contro i comandanti militari birmani implicati nelle atrocità.
Il gruppo ha parlato con 14 sopravvissuti e testimoni di Maung Nu e villaggi circostanti nel tratto del villaggio Chin Tha Mar di Buthidaung Township. I testimoni, ora rifugiati in Bangladesh, hanno affermato che temevano la rappresaglia militare birmana. Diverse centinaia sono stati riuniti in un grande complesso residenziale a Maung Nu. Alcuni soldati birmani sono entrati nel complesso mentre altri lo hanno circondato, hanno preso diverse dozzine di uomini e ragazzi Rohingya nel cortile e poi hanno sparato o pugnalato a morte. Altri sono stati uccisi mentre cercavano di fuggire. I soldati hanno quindi caricato i corpi – alcuni testimoni hanno parlato di un centinaio o più – in camion militari e li hanno portati via.
Il racconto del massacro
Due soldati birmani sono arrivati nella tarda mattinata del 27 agosto. Un soldato, identificato da molti testimoni come il sergente Baju, ha poi portato diversi soldati nel cortile e ha iniziato a chiamare la gente che si nascondeva in casa in lingua Rohingya. I testimoni hanno riferito che Baju aveva vissuto nella vicina base militare per 15 anni e che parlava il Rohingya. Diversi hanno sentito Baju che cercava di convincere gli uomini e i ragazzi all’interno delle case che non sarebbero stati uccisi se avessero lasciato gli edifici. Alcuni all’interno del cortile, così come altri che erano riusciti a fuggire osservavano dalle colline che si affacciano sul complesso, ed hanno riferito che i soldati hanno portato uomini e ragazzi Rohingya nel cortile. I soldati hanno legato le mani dietro la schiena, li picchiavano, li pugnalavano, li colpivano con con lunghi coltelli e sparavano.
Abdul Jabar, 60 anni, ha dichiarato che i soldati hanno fatto inginocchiare gli uomini quando li hanno colpiti con il calcio dei loro fucili e li hanno presi a calci ripetutamente prima di ucciderli. Anche i bambini non sono sfuggiti al massacro. Mustafa, 22 anni, ha parlato di una fossa con 10, 15 corpi di bambini, tutti di età inferiore ai 12 anni, “ho riconosciuto quattro corpi: Hakim Ali, 9 anni, Naim, 8 anni, un bambino di Pondu Para, di circa 10 anni, e Chau Mong, di 7 anni”. I soldati hanno impiegato diverse ore a raccogliere i corpi su tappeti verdi, caricarli su veicoli militari per poi portarli via, affermano diversi testimoni.
A marzo, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha deciso di inviare una missione di esperti internazionali per indagare sugli abusi, ma il governo birmano ha dichiarato che non avrebbe consentito agli investigatori di entrare. “I comandanti militari birmani non possono utilizzare la scusa degli attacchi terroristici per evitare la giustizia e la punizione”, ha dichiarato Robertson. “La missione di inchiesta delle Nazioni Unite deve indagare su queste atrocità, compresi i comandanti che hanno ordinato l’attacco o hanno omesso di punire coloro che sono coinvolti”.
Temiamo che queste atrocità non finiranno e che la diletta creatura delle classi alte, il Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, birmana e buddista, non prenderà le distanza dalla maggioranza del suo popolo composto all’88 per cento da buddisti, tenuto conto dell’influenza che hanno sulla popolazione i buddisti nazionalisti, che siano quelli del Movimento 969 del monaco Ashin Wirathu o della Fondazione filantropica Buddha Dhamma diretta dal monaco Tilawka Biwuntha. Dunque ella non difenderà mai la causa dei Rohingya e la sua immagine di icona della democrazia costruita negli anni 90 sarà sempre più offuscata.
di Cristina Amoroso