Myanmar, brutale repressione sul popolo Rohingya
Si fa sempre più dura la repressione dell’esercito birmano contro il popolo Rohingya; più di mille sono stati uccisi in un giro di vite del regime, ad affermarlo due funzionari di alto livello delle Nazioni Unite che si occupano dei rifugiati in fuga dalla violenza, sostenendo che il bilancio delle vittime è di gran lunga maggiore di quanto precedentemente riportato.
I funzionari, appartenenti a due agenzie separate delle Nazioni Unite lavorano in Bangladesh, dove quasi 70mila Rohingya sono fuggiti negli ultimi mesi. Si sono detti preoccupati della gravità della crisi in corso nella regione Rakhine del Myanmar, di fronte alla quale l’indifferenza della comunità internazionale lascia intendere che il mondo non abbia colto appieno le dimensioni della tragedia.
“Fino ad oggi si era parlato di un centinaio di morti, ma probabilmente è una sottostima. Infatti, i morti potremmo essere ormai sulle migliaia”, ha aggiunto uno dei funzionari, citando informazioni che la sua agenzia aveva raccolto da rifugiati nei campi Bangladesh negli ultimi quattro mesi. Il funzionario, parlando in condizione di anonimato, ha dichiarato che il peso delle testimonianze raccolte dai rifugiati potrebbe avvalorare la conclusione che il bilancio delle vittime abbia già superato abbondantemente le mille unità.
Il portavoce presidenziale del Myanmar, Zaw Htay, ha riferito che gli ultimi rapporti dei comandanti militari riportavano la morte di meno di cento persone, uccise in un’operazione di controinsurrezione contro i militanti Rohingya che avevano attaccato la polizia dei posti di frontiera nel mese di ottobre.
In aggiunta alle informazioni che i due funzionari delle Nazioni Unite hanno fornito alla Reuters, un rapporto pubblicato venerdì scorso dall’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (Unhchr) ha rivelato negli ultimi mesi uccisioni di massa e stupri di gruppo da parte delle truppe nel nord-ovest del Myanmar, che costituiscono crimini contro l’umanità. Dal rapporto dell’Unhchr, che ha ottenuto prove dai rifugiati, immagini satellitari di villaggi completamente distrutti e interviste con 220 persone, scaturisce un quadro che può essere solo “la punta di un iceberg”, come ha dichiarato un funzionario.
Una verifica indipendente di ciò che sta accadendo in Myanmar è estremamente difficile in quanto i militari hanno tagliato l’accesso a nord-ovest di Rakhine. Il governo guidato da Aung San Suu Kyi ha riferito che avrebbe indagato sulle accuse del rapporto, ma ha già negato quasi tutte le accuse di uccisioni, stupri e incendi dolosi. Forse il vincitore del Nobel per la pace, criticato in Occidente per il suo silenzio sulla questione, non ha alcun controllo sulle forze armate, in un Paese guidato da una costituzione scritta da parte del governo militare precedente.
Racconti strazianti
Secondo i racconti forniti negli ultimi settimane alla Reuters da parte dei rifugiati nei campi in Bangladesh, l’esercito ha intensificato a metà novembre la sua offensiva nel nord dello Stato di Rakhine, scatenando ciò che la relazione Unhchr ha descritto come una “politica calcolata di terrore”.
Il rapporto descrive morti bruciati, uccisioni di Imam e insegnanti mirate e svariate atrocità contro civili inermi. Khatun Hazera, una donna di 35 anni del villaggio di Kya Guang Taung, ha dichiarato alla Reuters che i soldati hanno sparato al marito, insegnante alla madrassa del villaggio, mentre stava tornando da scuola con i suoi studenti.
“I ragazzi e gli uomini di età compresa tra 17 e 45 sono stati particolarmente presi di mira, in quanto sono considerati forti e visti come una potenziale minaccia per l’esercito e le autorità. Secondo il rapporto Onu la stragrande maggioranza dei nuovi profughi Rohingya sono donne e bambini, sollevando dubbi circa la sorte degli uomini lasciati alle spalle.
Circa 1,1 milioni di Rohingya musulmani vivono in condizioni di segregazione nel nord-ovest del Myanmar, dove è negata loro la cittadinanza. La Comunità birmana, nella maggioranza buddista, li considera clandestini provenienti dal Bangladesh, il governo nega loro l’accesso all’istruzione universitaria e dal 2013 li ha discriminati con la legge dei due figli, politica tendente alla pianificazione familiare per la comunità musulmana dei Rohingya.
Che la preghiera del Papa di mercoledì scorso per i fratelli Rohingya “torturati solo perché portano avanti la loro tradizione”, possa fare leva sulle forze politiche internazionali per fermare questo genocidio silenzioso contro un popolo senza Stato.
di Cristina Amoroso