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Morti sul lavoro, morti silenziose

Morti sul lavoro – È una strage silenziosa quella che si continua a perpetrare sui posti di lavoro. Ci si alza al mattino per portare il pane a casa, per darsi una dignità, perché il lavoro è, o dovrebbe essere, soprattutto quello.

L’ultima “morte bianca” è avvenuta nel Porto di Civitavecchia. Alberto Motta, 29 anni, nato a Tarquinia, non è più tornato a casa. È morto schiacciato da un container mentre era alla guida di un muletto. Una notizia passata in secondo piano tra i teatrini di Sanremo e le vicende della guerra in Ucraina.

Un’altra vittima sul lavoro si era contata 24 ore prima, quando al Porto di Trieste un portuale di 58 anni, Paolo Borselli, è deceduto nei pressi del molo 58, cadendo in acqua con il carrello elevatore mentre movimentava alcune casse.

Come sempre accade in questi casi, si alzano i peana dei sindacati. Partono lettere, minacce di sciopero, dichiarazioni pregne di indignazione, come se le ultime morti fossero un unicum e invece sono solo altri nomi che a fine anno diventano numeri. Sino a quando i sindacati si limiteranno a queste operazioni di facciata, difficilmente le cose cambieranno. Basterebbe fare i controlli, basterebbe fa rispettare le leggi, aumentare i controlli di quelle figure mitologiche che vanno sotto il nome di ispettori del lavoro.

Poi ci sono i numeri, freddi, inequivocabili ma che danno l’idea della situazione più di mille parole. 1090, tante sono le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Inail nel solo 2022. Passata l’indignazione, la rabbia e il dolore, torna tutto come prima. La politica continua a starsene alla larga, il dramma dei morti sul lavoro è poco appetibile. La gente, non potendone fare a meno, torna al lavoro tra insicurezza e rassegnazione.

di Sebastiano Lo Monaco

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