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Mentre gli Usa vorrebbero inviare truppe in Siria ed Iraq, Teheran viene invitata a partecipare ai colloqui sulla Siria

di Salvo Ardizzone

 

Gli Stati Uniti sarebbero in procinto di inviare truppe in Siria ed Iraq, a ridosso delle prime linee; il Presidente, pressato dall’establishment della Sicurezza Nazionale, dovrebbe prendere una decisione entro la settimana. Lo riferisce il Washington Post, citando indiscrezioni di alti funzionari della Casa Bianca.

La motivazione alla base dell’iniziativa è politica ed ha le radici nella contraddittoria quanto fallimentare gestione delle crisi mediorientali da parte dell’Amministrazione Usa. Il disegno di Obama era di creare una situazione di stallo, in cui nessuna delle potenze regionali prevalesse; gli Usa si sarebbero districati da quei pantani, pensando di mantenervi l’influenza attraverso l’appoggio che quegli Stati, in perenne lotta fra di loro, avrebbero chiesto alla Superpotenza.

Per questo Obama non vuole distruggere l’Isis, una creatura sfuggita in buona parte al controllo, ma pur sempre una pedina di esiziale importanza per perpetuare le guerre che insanguinano Siria ed Iraq ed impedire che i due Paesi si stabilizzino, creando una vasta area di collaborazione dal Libano all’Iran, esattamente ciò che è aborrito (e temuto più d’ogni altra cosa) dal Golfo. Vorrebbe solo “contenere” l’Isis, pilotandolo indirettamente con aiuti ed una sostanziale “non belligeranza”; per questo ha montato una coalizione che a parole lo combatte, ma nei fatti si guarda bene dal farlo.

Il fatto è che l’irrompere della Russia in Medio Oriente ha sparigliato un gioco già difficilmente sostenibile, ed ha riempito il vuoto politico lasciato dalle contraddizioni Usa. Messa di fronte alla prospettiva d’essere definitivamente tagliata fuori, divenendo di fatto ininfluente, la Casa Bianca sa di dover fare qualcosa. Di qui la prospettiva di un’escalation dell’attuale ruolo in Iraq e Siria.

Il Segretario alla Difesa Ashton Carter, nell’audizione alla Commissione Esteri al Senato, ha indicato i tre obiettivi del progetto: aumentare la pressione su Raqqa, la roccaforte dell’Isis in Siria, appoggiando direttamente i gruppi dei “ribelli” che si oppongono (sulla carta) al “califfo”; aumentare la pressione in Iraq, nell’Ambar, appoggiando con maggiore decisione l’Esercito iracheno e le formazioni sunnite; aumentare il numero e la qualità dei raid aerei della coalizione, fin qui una ridicola farsa, attaccando finalmente le installazioni petrolifere che sono il cuore delle finanze dell’Isis.

A scendere sul campo dovrebbero essere nuclei di forze speciali, per dare indicazioni agli aerei e supporto ai gruppi dei “ribelli”. Ma se in Iraq la cosa potrebbe essere fattibile, in Siria, proprio dove gli Usa vorrebbero continuare ad aver voce in capitolo, i rischi sono molti perché, come evidenziato da numerosi alti funzionari della Difesa, ciò potrebbe mettere gli Usa in diretto conflitto con le forze siriane, russe ed iraniane, con conseguenze imprevedibili.

Con tutta probabilità, dopo i plateali fallimenti del costoso programma del Pentagono diretto ad addestrare i “ribelli” e dei raid farsa della coalizione, Obama sarà costretto comunque a fare qualcosa, ma è assai improbabile che si spinga più in là di un gesto di facciata ad uso dei media, correndo il rischio di un pericoloso incidente in un teatro dove sono scesi in campo sia Russia che Iran. Sarebbe un errore di portata colossale, che nessuno ha l’interesse di compiere, meno che mai il Presidente Usa.

Che il “clima” sia ormai cambiato in Medio Oriente è testimoniato dal fatto che, su sollecitazione del ministro degli Esteri russo Lavrov, l’Iran è stato invitato a partecipare ai colloqui di giovedì a Vienna sul futuro della Siria, malgrado la strenua resistenza opposta dall’Arabia Saudita. Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Zarif, siederà accanto al Segretario di Stato Kerry e a Lavrov, come naturale conseguenza degli accordi sul nucleare e sul peso acquisito da Teheran in tutta l’area.

In fondo, che l’Iran divenisse un interlocutore essenziale nelle crisi mediorientali era un obiettivo di Obama, ciò che non aveva preventivato era la rapidità e la portata di un cambiamento che sta ridisegnando tutta la regione. Alla Casa Bianca non resta che seguire gli eventi, pena la completa estromissione da un quadrante comunque strategico.

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