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Medio Oriente: gli Usa alla ricerca di una via d’uscita politica; la Russia potrebbe dargliela

di Salvo Ardizzone

Dopo oltre un anno di gelo, il segretario della Difesa Usa Aschton Carter ha avuto un colloquio telefonico di 50 minuti con il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu.

Shoigu ha sostenuto che le posizioni sono vicine ma, al di là del linguaggio diplomatico, il colloquio, che ufficialmente ha avuto come argomento l’evitare incidenti ora che in Siria sono presenti militari russi e l’Air Force vi conduce i cosiddetti strike contro l’Isis, in realtà è servito a tastare il terreno per discussioni assai più ampie, che potrebbero tenersi in un summit informale fra Obama e Putin in margine all’Assemblea generale dell’Onu a fine settembre.

Il quadro degli eventi è in rapida evoluzione in tutto il Medio Oriente e soprattutto in Siria: dopo gli accordi sul nucleare iraniano, Obama vorrebbe districarsi da quel pantano per concentrarsi finalmente sull’Asia e sul contenimento della Cina, ma si rende conto che questo, in breve termine, farebbe collassare i suoi storici quanto scomodi alleati, Israele e il Golfo, determinando l’esclusione di Washington da un’area comunque strategica.

Sa bene che l’Isis, la creatura costruita a suo tempo a tavolino, è ormai irrimediabilmente sfuggita al suo controllo e segue un’agenda estranea a quella della sua Amministrazione, anzi, di ostacolo; ma è pure cosciente che se in questa situazione conducesse la guerra che a parole le ha dichiarato, ne provocherebbe il crollo repentino, e con lei dei suoi alleati che la sostengono, lasciando gli Usa senza alcuna influenza nella regione.

D’altronde, vede che il tempo lavora contro di lui e, con buona pace della campagna stampa orchestrata dai media, l’evolvere della situazione sul campo sta inesorabilmente marciando verso la sconfitta delle bande di terroristi foraggiati dal Golfo, dalla Turchia e da Israele. Gli occorre una via d’uscita politica, e solo la Russia potrebbe dargliela.

Putin lo ha compreso e si è mosso rapidamente: ha intensificato gli aiuti ad Assad, cosa che minaccia d’accelerare il tracollo di “ribelli” ed Isis; ha stanato Washington, proponendo un’azione comune (ma seria) contro il terrorismo ed ha concluso offrendo un coordinamento. Nel frattempo, Damasco ha dichiarato che la Russia sarà sempre al suo fianco, ed il Cremlino che, qualora ci fosse una richiesta d’aiuto militare della Siria, sarebbe presa in considerazione. Il che ha messo alle corde un Obama che non ha altre carte da giocare, e che ha un disperato bisogno di una sponda per rimanere in un gioco da cui rischia di venire escluso, dopo aver visto fallire miseramente ogni altra iniziativa.

È subito partita una rettifica di posizioni, e il Segretario di Stato Kerry, da Londra, ha ammorbidito la pregiudiziale di sempre sul conflitto siriano, che vede l’immediato allontanamento di Assad, cosa che lo sviluppo dei fatti (ma quelli veri, non quelli dei media) rende una favola.

A fine mese, con tutta probabilità ci sarà l’incontro con Vladimir Putin, e sarà il Presidente russo a dare le carte. Certo, non sarà accordo, non può essere, ma una solida coincidenza d’interessi si.

Il Cremlino considera l’Isis un pericolo reale, perché teme che l’infezione metta piede nel Caucaso e negli altri suoi territori musulmani. Sono almeno 2mila i cittadini russi accorsi a combattere sotto le bandire del “califfo” e da tempo, in Siria, gli uomini dell’Fsb (l’erede del Kgb) agiscono discretamente per eliminarne i capi prima che possano tornare. Inoltre, in Daghestan, in Cecenia ed anche altrove, si stanno moltiplicando le cellule di terroristi che aderiscono al Vilayat Caucaso, largamente foraggiati dalla casa madre e da generosi “donatori” del Golfo. E Putin non vuole permettere una riedizione della stagione di terrore vissuta al tempo delle guerre cecene.

Da questi comuni interessi, fra un Obama, che vuole districarsi dal Medio Oriente ma non può permettersi d’esserne tagliato fuori del tutto, e un Putin, deciso a metter fine a un caos troppo pericoloso e ad occupare lo spazio lasciato dagli Usa nella regione, potrà nascere un’intesa.

A rimanerne fuori saranno Tel Aviv e Riyadh, che stanno vedendo crollare il loro passato potere sotto una montagna di crimini ed errori.

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