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Tra Marocco e Fronte Polisario una pace sempre più lontana

Secondo la mappa venduta nel negozio dei souvenir all’aeroporto di Laayoune, capitale del Sahara Occidentale, il territorio appartiene esclusivamente al Marocco. Ma l’aeroporto stesso mostra i segni di quanto sia contestato questo Paese. Sulla pista gli aerei con il logo delle Nazioni Unite, mentre i suoi soldati, i caschi blu, vagano nella sala arrivi. Sono lì per mantenere la pace tra il Marocco e il Fronte Polisario, un’organizzazione militare e politica che difende il diritto dell’autodeterminazione del popolo Saharawi e che combatte per l’indipendenza da più di 40 anni.

fronte polisarioSono in crescita i timori di un ritorno al conflitto armato. Provocazioni dal Marocco hanno fatto infuriare Polisario, che ha risposto per le rime. Dalla scorsa estate l’Onu si è fermata tra i due nemici, a soli 120 metri di distanza, nella zona remota del Guerguerat. I diplomatici temono che il grilletto facile potrebbe riavviare la guerra di 16 anni cui l’Onu ha contribuito a porre fine nel 1991. “La minaccia per la pace e la sicurezza è probabilmente la peggiore che abbiamo visto da allora”, ha riferito un funzionario delle Nazioni Unite.

Le ostilità tra il Marocco e Polisario sono iniziate con la decolonizzazione, quando la Spagna si ritirò dal Sahara Occidentale nel 1975 e il Marocco si annesse il territorio. Un cessate il fuoco nel 1991 ha promesso un referendum per l’indipendenza, ma non si è tenuto mai nessun voto. Al Marocco è stato quindi lasciato il controllo di due terzi del territorio, tra cui Laayoune, mentre il Polisario gestisce la parte rimanente. Essi sono separati da una banchina di sabbia di 2.700 km (1.700 miglia), costruita dall’esercito marocchino e disseminato di mine.

Il muro  di sabbia contro l’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani:

1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese.

Due o tre linee parallele di argini di sabbia alti dai due ai tre metri. Nei punti strategici della prima linea, quella più ad Est, sono posizionate mine antiuomo, reticolati, punti di appoggio (“campanelli”) dove sostano una quarantina di soldati, radar. La seconda linea è costantemente presidiata da truppe d’élite dell’esercito. Lungo la barriera sono posizionati 120mila soldati marocchini a fronte dei 12mila militanti dell’intero Fronte Polisario. Al suo completamento ha raggiunto i 2720km di lunghezza. E’, attualmente, il muro più lungo del mondo (se non consideriamo il confine tra Messico e Usa come un’unica, immensa barriera). Di certo è il più lungo campo minato del pianeta.

Nel 1979, il Fronte Polisario riesce a estromettere dai giochi la Mauritania e comincia a dedicarsi solo al Nord, rivolgendosi contro il Marocco. Ed è a questo punto, nel Luglio 1980, che Hassan II, re del Marocco, ordina la costruzione di un muro di sabbia.

Oggi, di fatto, il Sahara Occidentale è una regione controllata de jure dal Marocco (l’Onu parla di “autorità amministrativa”), il quale, tuttavia, deve contenderselo, de facto, con il Fronte Polisario. Quest’ultimo accoglie i profughi Saharawi in alcune basi algerine, in particolare nella città di Tindouf. Sono 160mila i Saharawi che sono bloccati qui, al di qua del muro, fuggiti nel 1975 a causa della guerra. Da trent’anni vivono al limite, in campi profughi gestiti dall’Algeria e dalle Ong.

Il braccio di ferro in Guerguerat sintomo di problemi ben più gravi

Lo scorso agosto il Marocco ha cominciato la pavimentazione di una strada nel Guerguerat a sud del muro di sabbia. Il suo dispiegamento delle forze di sicurezza è stato visto come una violazione del cessate il fuoco. In risposta, il Polisario ha avviato la costruzione di nuove strutture, posizionando elementi armati nella zona. Il segretario generale del Polisario, Brahim Ghali, ha fatto visita alla regione nel mese di dicembre, alimentando la tensione.

Il braccio di ferro in Guerguerat è un sintomo di problemi molto più profondi. Mentre la parte del Marocco del Sahara Occidentale contiene fosfati preziosi, scorte di petrolio e sulle coste abbondanza di pesce, la regione controllata dal Fronte Polisario è, al contrario, poverissima. Tra i Saharawi dei campi profughi nella vicina Algeria, che sostiene la causa del Sahara Occidentale, sono in molti a sostenere la risoluzione del conflitto con le armi, come scrive Hannah Armstrong, un analista: “I rifugiati nati e cresciuti in esilio stanno battendo i tamburi per la guerra”.

Molti Saharawi credono anche che l’Onu non abbia piedi ben saldi in Marocco, dopo l’espulsione da parte del regno di circa 70 operatori delle Nazioni Unite la scorsa primavera, dovuta al fatto che Ban Ki-moon, l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, aveva descritto la presenza del Marocco nel Sahara Occidentale come “occupazione”.

Qualche speranza era nata tra i Saharawi con la riammissione del Marocco nell’Unione Africana il 31 gennaio scorso, lasciata da Rabat nel 1984, quando la maggioranza degli Stati membri avevano riconosciuto il Polisario e concesso la sua adesione come Repubblica Democratica Araba Saharawi (Sadr). Il reinserimento del Marocco faceva sperare nell’accettazione dei protocolli dell’Unione Africana, che affermano l’inviolabilità dei confini dei membri.

Altri però ritengono che il Marocco lavorerà all’interno dell’organizzazione per minare il sostegno dell’Unione Africana al Polisario. Infatti, Nasser Bourita, il vice ministro degli Esteri del Marocco, ha ben espresso la posizione del Marocco sull’argomento: “Non solo il Marocco non riconosce – e non riconoscerà mai – questa cosiddetta entità… ma raddoppierà gli sforzi in modo che la piccola minoranza di Paesi, in particolare dell’Africa, che lo riconoscono, cambino le loro posizioni”.

“Guardiamo sempre alla via pacifica” per risolvere il conflitto, ha di recente replicato il segretario generale del Fronte Polisario e presidente della Repubblica Araba Democratica Saharawi, Brahim Ghali, aggiungendo: “Ma tutte le opzioni rimangono aperte”, compresa la guerra.

di Cristina Amoroso

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