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Luigi Ilardo, “collaboratore scomodo” ucciso da chi?

La Mafia è una montagna di merda“, gridava Peppino Impastato nella sua Cinisi. Quella di Peppino è stata tra le poche voci solitarie che hanno sfidato la Mafia e la cultura che la sorregge. È stato assassinato a Cinisi il 9 maggio 1978 con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Mafia, una parola che fa paura, che ha reso un popolo succube, vittima e spesso complice. Il vero cancro non è la mafia in sé, ma quella cultura insita in tutti noi. Parliamo di Mafia come se fosse un corpo estraneo allo Stato, al Potere. Sbagliato! La Mafia è solo il braccio militare di uno Stato malato fondato sul malaffare. Nell’intervista di oggi parleremo dell’omicidio di Luigi Ilardo, di uno dei tanti misteri che hanno avvolto il potere mafioso in Sicilia. Ne parliamo con Luana Ilardo, figlia di Luigi, impegnatissima nel portare avanti la battaglia per fare giustizia sui tanti interrogativi che circondano l’omicidio del padre.

1. Luana, suo padre, Luigi Ilardo, capomafia della Provincia di Caltanissetta e cugino di Giuseppe “Piddu” Madonia (attualmente incarcerato al 41 Bis di Parma) è stato ucciso il 10 Maggio del 1996. Il 13 Maggio sarebbe entrato nel programma Protezione Testimoni, dopo anni (dalla fine del ’93 al Maggio del ’96) in cui col nome in codice “Oriente”, lavorava per lo Stato come infiltrato nella fazione della Mafia Provenzaniana. Ilardo era “confidente” del Colonnello Riccio dei Ros. Cosa poteva rivelare e cosa stava rivelando suo padre sulla trattativa Stato-Mafia e sui comparti dello Stato collusi con la massoneria?

Mio padre, come da lei ben detto, aveva incominciato a parlare dei rapporti oscuri e deviati di collusione tra Stato, massoneria e Mafia. A tal proposito aveva fatto comprendere che lo sporco frutto di questa connivenza erano state e sarebbero state tristissime tragedie come gli omicidi di Piersanti Mattarella, Giuseppe Insalaco, Pio La Torre, i coniugi Ida e Antonio Agostino, l’uccisione del piccolo Claudio Domino di soli undici anni e tante altre stragi che più volte hanno messo in ginocchio il nostro Paese.

2. Luigi Ilardo il 2 Maggio del 1996 si presenta a Roma per il suo primo incontro istituzionale nella sede dei Ros al fine di diventare ufficialmente un collaboratore di giustizia con nome e cognome. All’Incontro ci sono il Colonnello Michele Riccio, il Generale Mori Mario, il Magistrato Caselli, la dott.ssa Principato e l’allora Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Tinebra. Il Colonnello Riccio in un’intervista del 14 Agosto 2020 su www.19luglio1992.com afferma che l’Ilardo in quell’occasione disse direttamente a Mori: “Molti attentati attribuiti a Cosa Nostra sono stati commissionati dallo Stato, e voi lo sapete”. Se è vero ciò che suo padre sostenne a Roma nella sede dei Ros, non è lecito supporre che la mafia abbia chiesto qualcosa in cambio delle esecuzioni materiali degli atti criminosi e delle conseguenti condanne passate in giudicato?

La Mafia, come testimoniato da vari processi (tra cui quello, importantissimo, sulla Trattativa), per espandere la propria egemonia sia da un punto di vista imprenditoriale (licenze, autorizzazioni, appalti) che economico (riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite) aveva constante necessità di appoggi politici e istituzionali. Gli stessi appoggi servivano a favorire e a garantire anche le condizioni dei detenuti e dei loro familiari.

3. Suo padre collaborando con lo Stato da infiltrato nella Mafia ha fatto arrestare molti boss e personaggi di spicco ma un caso resta eclatante e mai chiarito: Provenzano, divenuto il capo dei capi dopo l’arresto di Riina, è stato catturato l’11 Aprile del 2006, ma è noto grazie ai processi che Luigi Ilardo diede allo Stato la possibilità di prenderlo molti anni prima. Egli infatti riferì al Colonnello Riccio di un summit mafioso che doveva aver luogo il 31 Ottobre del 1995 in un casolare di Mezzojuso con la presenza di Provenzano. I Ros e quindi i Generali Mario Mori e Obinu furono avvisati dell’incontro da Riccio. Suo padre si presentò al summit con le microspie in attesa del blitz che doveva catturare Provenzano. Il blitz non scattò affatto e il capo mafia è rimasto latitante per 11 anni ancora, di cui sei nello stesso covo. Dopo quanto accadde a Mezzojuso nel 1995 chiedo in primis come Riccio giustificò a suo padre il fallimento della cattura di Provenzano e in secondo luogo, su quali basi suo padre continuò ad aver fiducia delle persone che nelle istituzioni lo conoscevano?

Il Col. Riccio e mio padre continuarono ad avere fiducia nelle istituzioni perché credo che, nonostante avessero intuito un probabile mal funzionamento delle operazioni, volessero fortemente rifiutarsi di poter credere all’esplicita non volontà di procedere a quell’arresto.

4. L’Ilardo nel ’96 decise di entrare nel programma di protezione perché pensava di stare più sicuro?

In realtà gli accordi col Col. Riccio prevedevano che mio padre entrasse nel programma di protezione subito dopo l’arresto di Provenzano perché semplicemente, il suo ruolo di infiltrato era finalizzato proprio alla cattura del super latitante. Dopo i fatti di Mezzojuso del 31 Ottobre e l’arresto non eseguito, entrambi decisero comunque di formalizzare la collaborazione di mio padre perché ormai la situazione era divenuta rischiosa e pericolosa per la sua vita.

5. Un passaggio non è chiaro, chi dei Ros oltre Riccio, conosceva la vera identità di suo padre al momento dei fatti di Mezzojuso? Il Generale Mori e Obinu conoscevano chi era “Oriente”? Oppure il Generale Mori ha conosciuto la vera identità di suo padre solo dopo Roma?

Per quanto ci è dato sapere solamente in quella data, ossia dopo Roma, Mori apprenderà che “fonte Oriente” era Ilardo Luigi.

6. Secondo la procura di Palermo, Provenzano è l’uomo che avrebbe sottoscritto il patto sotterraneo con alcuni pezzi dello Stato dopo il periodo stragista del ’92 e del ’93.  Il Col. Riccio era già informato della trattativa stato-mafia e di Marcello dell’Utri come persona di riferimento di Cosa Nostra?

Il Col. Riccio e mio padre entrarono in grande fiducia e sintonia da subito e fin dai loro primissimi incontri papà parlò degli esponenti politici e istituzionali aventi rapporti con la Mafia tra i quali immediatamente indicò Marcello Dell’Utri che in quel periodo era già un esponente di spicco del movimento politico “Forza Italia”.

7. Lei non crede che in linea generale la maggior parte dei latitanti si nascondono a rigor di logica laddove si sentono più protetti ossia nel proprio territorio e dunque quando non li catturano è perché non c’è la convinta volontà di arrestarli o non è il momento di prenderli?

Per quanto mi riguarda sono fermamente convinta che ancora oggi ci sia una trattativa in essere perché la storia ci ha dato conferma che i ricercati in realtà non si sono mai allontanati dai propri ambienti e territori. Questa convinzione mi è anche data dal fatto che in un’epoca così evoluta come quella in cui viviamo oggi, si è in possesso di apparecchiature talmente sofisticate che senza alcun dubbio consentono sia di avere un accesso capillare in ogni luogo e sia d’individuare l’eventuale latitante.

8. Quale messaggio vuole lanciare alla Sicilia e a tutte le vittime di Mafia?

Voglio lanciare il mio messaggio ancora una volta a tutte quelle persone, soprattutto ai più giovani, che non hanno il coraggio di prendere le distanze o dissociarsi da ambienti criminali mafiosi.

Spesso, soprattutto qua al Sud, si nasce e si cresce in un terra dove la Mafia è fortemente radicata e insidiata nel tessuto sociale, dove falsamente si può credere che l’appartenenza a qualche “associazione” possa essere funzionale a una contestuale acquisizione di ruolo nella società. Niente di più sbagliato di una convinzione del genere, che non fa altro che causare infiniti fiumi di sangue e di lacrime, distruggendo irrimediabilmente vite, famiglie e generazioni.

La Mafia non ha mai lasciato scelta a nessuno, è una strada che non sbocca. Come dice il detto, “o mangi galera o mangi terra”. Nessuno di noi ha la possibilità di avere una seconda vita da vivere.

di Ilaria Parpaglioni

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