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L’Onu difende i Paesi dal ricatto del debito

di Federico Musso

Il 10 settembre 2015: una data fondamentale per tutti i Paesi soffocati dal debito. All’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 136 Paesi hanno fatto il primo passo verso un cambiamento nella finanza pubblica.

Infatti, grazie al lavoro di una commissione ad hoc presieduta dalla Bolivia, l’Assemblea ha votato in favore di una risoluzione non-impegnativa che appoggia i Paesi che vogliono unilateralmente ristrutturare il debito pubblico, una volta che è diventato insostenibile.

Il debito è una “Spada di Damocle” che pende sulla testa di troppi stati. E ovviamente la finanza globale ne approfitta e lo utilizza come grimaldello per colonizzare i Paesi. Com’è avvenuto con la Grecia e precedentemente con l’Argentina, che ha vissuto sulla propria pelle la ritorsione dei banchieri a causa del suo fallimento unilaterale.

Dal 2001 il Paese sudamericano e gli istituti finanziari internazionali si scontrano in tribunali a causa della questione dei tango-bond, cioè i buoni del tesoro argentini emessi durante il periodo dei piani di aggiustamento strutturali del Fmi. Quando governava Fernando de la Rua, il Paese aveva firmato un accordo con il Fondo Monetario Internazionale che aveva offerto al Paese una ricetta economica molto amara, in pieno stile neo-liberista. In seguito ai moti di piazza di dicembre 2001 e alla tragica situazione finanziaria, l’Argentina dichiarò fallimento in quanto non era possibile rimborsare i titoli venuti a scadenza. La maggioranza di questi, però, era detenuta da stranieri allettati dagli alti tassi d’interesse; assolutamente disinteressati alla questione sociale e morale dietro al default e interessati solamente al profitto. Tuttavia, il Governo Kirchner ha voluto evitare uno scontro diretto e ha offerto varie soluzioni ai creditori internazionali: in cambio del riconoscimento della detestabilità di parte del debito e un pagamento “a rate”, il Paese si è impegnato a rimborsare tra il 30 % e 35% del valore nominale dei titoli più gli interessi maturati fino ad allora. I più hanno accettato le condizioni, tranne gli hedge funds statunitensi che volevano un rimborso totale del capitale investito. Nonostante fossero solo il 7% dei titolari dei titoli di stato caduti in fallimento, hanno deciso di dichiarare guerra all’Argentina portando la causa in tribunale. A giugno del 2014, la Corte Suprema degli Usa ha dato ragione ai fondi “buitres” (avvoltoi, in spagnolo), obbligando l’Argentina a pagare ai tre fondi americani 1,6 miliardi di dollari. Avete letto bene: una corte statunitense ha deciso sul pagamento del debito di un Paese terzo, privando di fatto l’Argentina della sovranità giurisdizionale.

La decisione della Corte Suprema degli Usa ha sicuramente spinto alcuni Paesi sotto il ricatto del debito a inserire nella risoluzione: “il diritto […] di plasmare la propria politica macroeconomica, inclusa la ristrutturazione del debito, che non dovrebbe essere limitato o impedito da nessuna misura abusiva”.

Anche l’ultimo paragrafo della legge vuole evitare che l’estorsione vissuta dall’Argentina si ripeta. Infatti, si afferma che: “Gli accordi di ristrutturazione del debito sovrano che sono approvati da una maggioranza qualificata dei creditori di uno Stato non devono essere toccati, messi a rischio o in altri modi impediti da altri Stati oppure da una minoranza non-rappresentativa dei creditori, che devono rispettare le decisioni adottate a maggioranza”.

Chi altri ha sostenuto questa proposta? La Russia e l’Islanda hanno votato a favore in nome di una maggiore stabilità finanziaria a livello globale; mentre il Venezuela e altri stati sudamericani e caraibici (come il Giamaica) l’hanno sostenuta principalmente perché enuncia il diritto delle nazioni di salvare il welfare piuttosto che pagare il debito. Invece sei paesi (Canada, Germania, Israele, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) hanno votato contro la risoluzione. Un delegato degli Usa ha spiegato il motivo del “no” invocando la non-esistenza di nessun diritto sovrano a ristrutturare il debito. 

Eppure, questa volta i diritti dei popoli hanno superato le pretese della finanza. La risoluzione è passata, e anche se non è vincolante, sicuramente ha un valore politico e imbastisce uno “spaventapasseri giuridico” per tenere alla larga i banchieri-avvoltoi.

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