L’Italia si riaffaccia nel Corno d’Africa
Il Vice Ministro Lapo Pistelli ha appena concluso un viaggio nel Corno d’Africa, nel corso del quale ha toccato tutti i Paesi dell’area: Somalia, Gibuti, Eritrea, Sudan ed Etiopia. L’Italia ne era assente, in maniera ufficiale, da tempo immemorabile, lasciando campo libero ad altri Stati europei, attori regionali (Turchia in testa) ed internazionali, come l’immancabile Cina.
La ritrosia ad impegnarsi in quello scacchiere, sconta l’antico complesso di ex potenza coloniale; la giusta e doverosa condanna del colonialismo, è stata tuttavia sistematicamente sfruttata con abilità dalle classi politiche locali, che ne hanno fatto uno strumento di pressione e un argomento per sviare ogni critica mossa ai discutibili sistemi politici di quei Paesi (troppo spesso improntati ad autoritarismo), nei dialoghi con rappresentanti dell’Italia.
Col viaggio di Lapo Pistelli, lungamente preparato, si registra un deciso cambio di rotta e strategia, che, mantenendo doverosamente fermo il giudizio negativo sul passato coloniale, intende chiudere con quell’esperienza consegnandola alla storia insieme alla sua condanna, e ripartire nei rapporti bilaterali su un piano di parità e senza sudditanze psicologiche. Un simile approccio è stato particolarmente efficace in Eritrea, dove, accanto alla volontà di riallacciare i rapporti con Asmara, la dimensione economica della cooperazione non è stata separata dalla considerazione che quello di Isaias Afewerki è uno dei regimi più repressivi di tutta l’Africa.
La funzione dell’Italia nel Corno d’Africa può essere preziosa sia come mediazione nei contrasti fra i Paesi, è caso di Etiopia ed Eritrea; sia come capintesta della cooperazione e dialogo fra Unione Europea e Africa Orientale; iniziativa, quest’ultima, accolta in modo assai positivo in tutto lo scacchiere. E di cooperazione c’è necessità: in Somalia, prima tappa del viaggio, è evidente l’affanno di un Paese che ha difficoltà a uscire dalla condizione di Stato fallito, e necessita praticamente di tutto, mentre è ancora minacciato da bande jihadiste e criminali da un canto, e dalle mire dei vicini (Kenya in testa) che lo derubano delle sue risorse dall’altro; il tutto in un quadro d’insicurezza e spaventosa corruzione, che rende terribilmente instabile il Governo.
Il fatto è che di risorse nell’area, a parte piccole cose, come l’apertura di qualche ospedale e l’impegno di varie Ong, l’Italia proprio non investe; invece di disperdere quello che viene riversato a pioggia con dubbi risultati in vari altri Paesi africani, sarebbe opportuno concentrare ciò che è a disposizione su un unico scacchiere, riuscendo così ad avere un minimo di massa critica idonea a supportare un’iniziativa politica di stabilizzazione.
In Etiopia, ultima tappa del viaggio, dove la cooperazione è molto più avanti, e sta per essere aperto un Ufficio dell’Ice (Istituto per il Commercio Estero), la dimensione dell’interscambio è cresciuta considerevolmente e il trend è di notevole incremento.
Gli incontri a Gibuti e in Sudan hanno completato una missione che potrebbe aver gettato le basi, non solo di una fitta rete di collaborazioni economiche, ma anche per intraprendere iniziative congiunte, sostenute dalla Ue, per il contenimento dei flussi migratori che finiscono sulle nostre coste, con il loro orribile strascico di morti.
Per strano che possa sembrare, il Vice Ministro ha ricevuto ovunque un’ottima accoglienza e il bilancio potrebbe essere positivo, ma a una precisa condizione: che non si tratti di un’iniziativa isolata, magari programmata e preparata per una volta bene, ma isolata. Potrebbe (e torniamo ad usare il condizionale) avere un ottimo risultato a condizione che sia seguita da un progetto complessivo economico e politico che investa sull’area, e la traduca nel consolidamento degli interessi del Sistema Italia nella regione. Progetto che, al momento, è tutto sulla carta, vittima di un pluridecennale immobilismo che ha ignorato quello scacchiere, e di un gap di sostanza politica che ha ridotto i rapporti a complesso da ex potenza coloniale.
Non è certo di neocolonialismo che parliamo, tutt’altro; ci rifacciamo alla lezione di Mattei che contro il colonialismo si batteva, che parlava di sviluppo comune con i Popoli usciti da quella tragica esperienza. Potrebbe essere una chance per il Sistema Italia e per le popolazioni del Corno d’Africa. Potrebbe… chissà.