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Libia: trattative farsa per depredare un Paese

di Salvo Ardizzone

Da quattro mesi lo sbiadito inviato speciale dell’Onu, Bernardino Leon, tenta d’indurre le cosiddette fazioni “politiche” libiche (quelle espresse dal Consiglio Nazionale Generale di Tripoli e dal Governo di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale), a negoziare una pace che ponga fine alla guerra civile e instauri un simulacro di Governo unico che dia “copertura” alle iniziative che Governi europei, nordafricani e mediorientali sono prontissimi a lanciare per spartirsi il controllo del Paese e sfruttarne il petrolio e il gas.

Già le precedenti trattative a Ginevra non hanno sortito alcun risultato, con le due fazioni che non solo rifiutavano di sedere allo stesso tavolo, ma non si presentavano neppure. A Rabat, dove, sotto la spinta del deteriorarsi della situazione, è iniziata una nuova serie d’incontri, le discussioni si sono arenate quando s’è affrontata la questione centrale: il governo unico e la personalità che dovrebbe guidarlo.

Nel frattempo, gli scontri, che avevano subito un rallentamento all’inizio delle trattative, sono ripresi, con tanto di bombardamento dell’aeroporto di Tripoli da parte dell’aviazione di Tobruk e un’offensiva sulla Capitale che, secondo quanto detto dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito nazionale libico Al-Nazouri, dovrebbe strapparla alle milizie della coalizione Fajr (Alba), che se ne erano impossessate nell’agosto scorso.

Dinanzi alla ridicola inconcludenza delle trattative, che sono avviate all’ennesimo fallimento, sia Leon che i diplomatici dei Paesi europei più interessati (ovviamente badando ognuno ai propri interessi e senza alcun coordinamento), hanno iniziato una serie di colloqui con le personalità più influenti di ciò che resta della società libica (soprattutto imprenditori di Misurata) e con i governi nordafricani e mediorientali impegnati nella crisi a sostegno delle due parti (Algeria, Egitto, Qatar ed Emirati).

Il nocciolo della questione che emerge dagli incontri, e che mina alla base il tentativo di soluzione diplomatica rendendo patetici gli sforzi negoziali, riguarda il reale controllo sulle milizie armate e sulle bande criminali, che nessuna delle due fazioni ha minimamente. Sintomatico è l’attacco scatenato dal sedicente generale Khalifa Haftar (a capo dell’Esercito nazionale libico), che in teoria dovrebbe rispondere al Governo di Tobruk, ma che in realtà non vuole che una tregua o, peggio, una pace, ridimensioni i suoi progetti di potere che vanno assai più in là del semplice ruolo di capo delle Forze Armate.

La cruda verità, evidente da molto tempo e ipocritamente sottaciuta dall’Onu e dalle altre Potenze interessate al petrolio e al gas libici, è che quand’anche si arrivasse a un accordo, le bande e le milizie non lo terrebbero in alcun conto, rifiutando di cedere il potere dato dalle armi e d’interrompere i traffici illegali e i taglieggiamenti con cui si mantengono.

In poche parole, l’eventuale governo-farsa che uscirebbe dalle trattative rappresenterebbe solo se stesso, e occorrerebbero “boots on the ground” per imporne l’autorità posticcia. Resta a vedere chi sarà disposto a metterli, impantanandosi in un’avventura difficilissima, sanguinosa e di esito tutt’altro che scontato, visti i numerosi precedenti infausti (vedi Afghanistan, Iraq e così via).

Un Occidente ipocrita quanto cinico, non deve stupirsi dei frutti avvelenati che continuano a maturare sempre più numerosi in Libia, dov’è stato tanto pronto a sganciare bombe (Francia e Inghilterra in testa), quanto rapido a disinteressarsi di un Paese distrutto, abbandonandolo a se stesso quando s’è reso conto che era troppo complicato sfruttarlo.

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