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In Libia aumenta l’impegno dell’Italia

Aumenta l’impegno dell’Italia in Libia, l’Africa diviene prioritaria; si ridurrà la presenza in Iraq e Afghanistan. L’impegno militare dell’Italia e l’assistenza in Libia e in Paesi vicini come il Niger verrà aumentato; contestuale sarà la riduzione della presenza in altri teatri, primariamente in Iraq e Afghanistan.

Nella delibera sugli impegni militari dell’Italia per il 2018, trasmessa dal Governo al Parlamento il 28 dicembre, è previsto l’accorpamento in un’unica missione delle tante iniziative che sono andate a stratificarsi in Libia, oltre al loro potenziamento: l’Operazione Ippocrate, l’assistenza sanitaria offerta alle milizie di Misurata impegnate a Sirte contro l’Isis; l’assistenza alla Guardia Costiera libica, offerta nell’ambito dell’Operazione Mare Sicuro, più “ulteriori attività richieste dal Governo di Accordo Nazionale libico”.

Dietro questa frase generica c’è la volontà di espandere sostanzialmente i compiti della missione, alla luce dell’assoluta priorità che la Delibera assegna all’Africa, vedi l’impegno che si prepara in Niger, teatro considerato tutt’uno con la Libia.

La nuova missione ha l’obiettivo dichiarato di fornire assistenza e supporto alle “autorità libiche” (eufemismo per indicare qualsiasi interlocutore che sia possibile trovare in quel pantano) per sostenere l’azione di pacificazione e stabilizzazione (chimera), rafforzare l’attività di controllo e contrasto all’immigrazione (è il nocciolo della faccenda) e parare le minacce alla sicurezza (attività che può dire tutto e niente e che rischia di mettere gli operatori in contrasto con francesi, americani e persino i tedeschi che ora stanno operando nell’area, ufficialmente coordinandosi, nella realtà perseguendo ciascuno i suoi obiettivi).

Tra i compiti è vero che c’è l’assistenza sanitaria e umanitaria, foglie di fico dietro cui si mascherano ipocritamente la formazione, l’addestramento, la consulenza ma anche l’assistenza sul campo e il “mentoring” per le forze di sicurezza locali, ovvero un impegno su un campo quanto mai insidioso.

Per quanto riguarda la missione in Niger, stando alle recenti dichiarazioni rese in un’intervista dal ministro della Difesa Pinotti, il contingente sarà composto da 470 uomini, oltre 100 veicoli e probabilmente una componente elicotteristica, necessaria per operare in quell’area; al momento sono già sul posto alcuni elementi, i reparti verranno schierati in tre fasi: una prima aliquota di 30 unità, poi 120, infine intero dispositivo dovrebbe essere entro l’anno su un teatro dove operano diversi gruppi di terroristi frammisti alle tante bande criminali che ingrassano sui tantissimi traffici illegali che hanno fatto dell’intero Sahel, e del Niger in particolare, la loro base.

Con ogni probabilità, la base dovrebbe essere situata a Madama, sul confine con la Libia, in una installazione dove sono già presenti elementi francesi, appartenenti al dispositivo Barkane, e nigerini, e che dispone di una pista per velivoli cargo.

Per fare fronte all’accresciuto impegno in Libia e, per adesso, in Niger, nel corso del 2018 l’Italia diminuirà il suo impegno in Afghanistan e dimezzerà la sua presenza in Iraq; in quest’ultimo teatro gli Usa non hanno più interesse ad avere fra i piedi il contingente italiano e gli attuali 1500 militari scenderanno a 7-800, continuando a svolgere il compito di training e formazione per Forze Armate e Polizia irachene.

Certo, diverso è il discorso per l’Afghanistan, dove Washington ha tutto l’interesse di mantenere quanti più uomini possibile, ma le risorse italiane sono più che limitate e la Libia (e l’intera area) è divenuta una priorità per Roma. Sia come sia, per l’Italia comincia un nuovo impegno per tentare di porre rimedio alla follia che nel 2011 diede il via alla dissoluzione della Libia, abbandonata a se stessa dopo essere stata distrutta. Francamente, visti i precedenti, i presupposti e i compagni d’avventura, è troppo sperare che serva a qualcosa di serio.

di Salvo Ardizzone

 

 

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