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Libia: salta l’incontro previsto tra i due presidenti libici, mentre rullano i tamburi di guerra nel Mediterraneo

di Salvo Ardizzone

Giovedì 26, i rappresentanti dei due parlamenti al momento insediati in Libia, quello di Tobruk e quello di Tripoli, si sarebbero dovuti incontrare a Rabat, in Marocco, con la mediazione dell’inviato dell’Onu Bernardino Leon, nel tentativo di trovare un accordo per la creazione di un Governo di unità nazionale. Già l’11 febbraio si erano tenuti colloqui separati a Ghadames, nel sud ovest della Libia, adesso i rappresentanti si sarebbero seduti allo stesso tavolo. Usiamo il condizionale perché ieri, il 23, il governo di Tobruk ha dichiarato la sospensione alla partecipazione ai colloqui: pretattica per contrattare fino all’ultimo la propria adesione o ennesima rottura effettiva è presto per dirlo.

I due parlamenti e i due governi che esprimono (quello di al-Tinni a Tobruk e quello di al-Hasi a Tripoli) non detengono alcun potere, né hanno il minimo controllo sul territorio e tanto meno sulle varie milizie, tuttavia, per dare un minimo di facciata legale all’intervento internazionale che è stato ormai deciso dietro il paravento dell’Onu, si ritiene indispensabile la formazione d’un simulacro di governo di unità nazionale che avalli l’operazione militare.

L’Italia è stata molto attiva per propiziare gli incontri fra le parti, sia con una continua mediazione che trasportando più volte le delegazioni a Ginevra, sede dei precedenti incontri. Inoltre, il ministro degli Esteri Gentiloni s’è prodigato con l’Algeria (attore importante per l’area e confinante con la Libia) perché accettasse che gli incontri si svolgessero in Marocco suo tradizionale rivale regionale, e con l’Egitto, che appoggia apertamente il governo di Tobruk avendo gli occhi sul petrolio della Cirenaica, ed è poco propenso a un dialogo che faccia entrare in campo altri interlocutori. Sembrerebbe che i primi timidi frutti si comincino a vedere, con la notizia d’una tregua fra le due più importanti milizie, quella di Misurata, che ha conquistato Tripoli l’estate scorsa, e quella di Zintan, che ha le sue basi sulle montagne dell’entroterra della capitale libica. Se reggerà, sarà un significativo inizio.

I due parlamenti come i due governi, si trovano in grave difficoltà perché privi degli introiti del petrolio e del gas, drasticamente ridotti e comunque non nelle loro disponibilità, come le decine di miliardi della Banca di Libia, da cui sono al momento tagliati fuori. Quando con promesse di ruoli (e di compensi) nello scenario che le potenze straniere stanno preparando per la Libia le due parti troveranno un qualche accordo, si spalancheranno le porte all’opzione militare ed alla forzata “normalizzazione” che permetta lo sfruttamento delle ricchezze del Paese da parte di chi parteciperà all’impresa. Di qui lo sgomitare dell’Italia di Renzi per essere in prima fila in un’avventura che si prospetta come un pantano sanguinoso da cui sarà assai difficile tirarsi fuori.      

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