Libano. Adnan Mansour: “Chi minaccia la sovranità della Siria, minaccia la sovranità di tutta la regione”
Sono trascorsi circa 30 anni da quando il Libano era suo malgrado, al centro della cronaca mondiale. Erano gli anni della guerra civile, un conflitto intestino che per la sua crudeltà ha segnato in maniera indelebile un intero popolo. Non passava giorno in cui i nostri Tg non mostravano le immagini di un Libano martoriato, aggredito da tutti, in cui i soliti “avvoltoi” stranieri si sono accaniti senza pietà.
Sono immagini che non scorderemo mai, atrocità che nemmeno il tempo potrà cancellare, soprattutto nella memoria di un popolo che ancora oggi, porta i segni e le divisioni. Una guerra finita ufficialmente nel 1990, ma forse, è stata solo accantonata, giusto il tempo di far ingrassare le pance di scaltri imprenditori – famiglia Hariri su tutti -, che sulle macerie del Libano hanno costruito oltre che lussuosi ed imbarazzanti grattacieli, le loro fortune economiche.
Un conflitto mai del tutto concluso, profonde e dolorose divisioni riemergono costantemente tra le varie comunità; il lusso è rimasto ad Hamra e la povertà è rimasta nella periferia meridionale di Beirut. Una disparità che pesava allora e forse, pesa ancora di più oggi. L’incubo della guerra civile torna a serpeggiare tra i libanesi, gli scontri a fuoco che ormai hanno una cadenza giornaliera, rappresentano un inquietante segnale. Da Tripoli a Sidone si torna a sparare, un imminente ampliamento del conflitto siriano nel Paese dei Cedri sembra ormai in atto. Dell’attuale situazione in Libano e nella regione medio orientale ne abbiamo parlato la scorsa settimana con il Ministro degli Esteri libanese Adnan Mansour, incontrato da una nostra delegazione a Beirut.
Qual è il livello di sicurezza lungo il confine tra Siria e Libano? L’esercito libanese è riuscito a contrastare il passaggio di armi e terroristi dalla Siria verso Libano e viceversa?
Considerata la posizione geografica del Libano e visti gli eventi in Siria si è registrata una forte instabilità sul confine tra i due Paesi; durante gli ultimi due anni si è sviluppata un’attività di infiltrazione di armi e mercenari da e verso il Libano. Ciò ha avuto un impatto negativo per la sicurezza e per la stabilità del Paese, soprattutto dopo l’arrivo in Libano di centinaia di migliaia di siriani. Attualmente i rifugiati siriani in Libano rappresentano il 25% della popolazione, circa un milione e 200mila rifugiati si trovano nel nostro Paese.
Attualmente la situazione è sotto controllo o continua il transito di uomini e armi?
Oggi la situazione è sotto controllo anche se resta preoccupante a causa del conflitto che continua in Siria.
Noi siamo interessati a ciò che succede in Siria, perché la stabilità della Siria si riflette in Libano. La permanenza del conflitto avrà delle ripercussioni pericolose su tutti i Paesi della regione e dunque, anche nel Libano.
A seguito degli episodi di violenza a Tripoli, lungo il confine siriano e soprattutto a Sidone, il governo è compatto al fianco dell’esercito libanese nella sua opera di mantenimento della sicurezza?
La responsabilità in questo caso è una responsabilità nazionale. Tutto il governo è d’accordo sul garantire la sicurezza e la stabilità in Libano. Ci sono diverse opinioni, ma tutti sono d’accordo sulla sicurezza e la stabilità. Per quanto riguarda gli scontri armati a Sidone, voglio elogiare il lavoro svolto dall’esercito libanese che ha sacrificato 18 dei suoi uomini, per stanare le bande di estremisti salafiti che da anni seminavano il terrore nella città di Sidone.
Come considera le critiche di molti Paesi occidentali sull’intervento di Hezbollah sul confine siriano?
Vicino al confine libanese-siriano ci sono circa 22 villaggi in territorio siriano abitati da 30anni da circa 35mila libanesi. Questi villaggi sono stati attaccati dalle milizie dei “ribelli” siriani che hanno iniziato ad uccidere gli abitanti, bruciare le loro case ed i loro terreni. L’esercito siriano era fuggito da quelle zone, e queste persone sono state costrette a chiedere l’aiuto dei loro fratelli in Libano. Come ha dichiarato il segretario generale di Hezbollah, i combattenti del Partito di Dio sono andati lì solo per difendere i loro fratelli.
A proposito di terrorismo, molti Paesi occidentali stanno pressando affinchè Hezbollah venga inserito nella lista dei movimenti terroristici. Cosa ne pensa?
Alcuni Paesi vogliono mettere Hezbollah nella lista dei gruppi terroristici per un motivo molto chiaro. Hezbollah ha combattuto contro l’occupazione israeliana ed è riuscito a liberare la sua terra insieme a tutti gli altri resistenti nazionali libanesi. Quindi i Paesi che sostengono Israele hanno paura della resistenza libanese, e fanno pressione per inserire il movimento libanese sulla lista nera del terrorismo. Se ciò accadesse avrebbe delle ripercussioni molto forti, perché Hezbollah è un partito che appartiene alla vita politica libanese, è parte del governo, ha dei ministri e fa parte del parlamento con dei suoi deputati. Come è possibile mettere un partito sulla lista dei terroristi? Vogliono solo sbarazzarsi della resistenza per avere campo libero e perseguire la loro politica di oppressione sul medio oriente.
Il conflitto siriano ha coinvolto anche la comunità palestinese in Libano, creando divisioni tra le varie fazioni combattenti. Come si pone il governo libanese rispetto ad alcuni gruppi palestinesi impegnati al fianco dei “ribelli” siriani?
In Siria ci sono combattenti che provengono da oltre 40 paesi, quindi sono venuti da tutte le parti del mondo. La nostra posizione è chiara, siamo contro ogni tipo di interferenza, minacciare la sovranità della Siria significa minacciare la sovranità di tutta la regione.
Per questo siamo per una soluzione politica del conflitto e per l’avvio di un dialogo tra governo ed opposizione. Questa è l’unica strada per giungere alla conclusione della crisi, non certo tramite le armi inviate da Paesi stranieri.
Reputa ancora utile la presenza del contingente Unifil nel sud del Libano?
Certamente, la presenza dell’Unifil è molto importante per monitorare il confine e per evitare aggressioni israeliane dirette contro il Libano. Noi come governo libanese siamo impegnati a rispettare le risoluzioni internazionali, ma nonostante la presenza dell’Unifil e la risolozione 1701, Israele continua a violare la sovranità del Libano. Fino ad oggi abbiamo registrato più di 11mila violazioni in sette anni. Israele rappresenta una continua minaccia per il Libano e per tutto il medio oriente. Quindi la missione Unifil al momento è molto importante.
Le presidenziali iraniane sono state vinte dal riformista Rohani, potrebbero cambiare i rapporti con il governo libanese?
La politica dell’Iran è una politica stabile, dunque sia con i riformisti che con i conservatori c’è sempre una continuità politica, che come base fondante prevede il sostegno alla resistenza, la lotta contro ogni egemonia nella regione, il sostegno ai movimenti per l’indipendenza dei popoli e soprattutto il sostegno al popolo palestinese. Questa politica non cambierà mai.
Recentemente gli Stati Uniti hanno annunciato delle sanzioni economiche contro alcuni cittadini libanesi residenti in Africa, con l’accusa di essere dirigenti di Hezbollah. Come si pone il governo libanese?
Non ci sono membri di Hezbollah all’estero, tanto meno dei dirigenti, così come è già stato detto dal segretario generale di Hezbollah. Quindi, queste sanzioni sono contro persone individuali e non hanno una validità politica.
Qual è il motivo scatenante che ha portato al rinvio delle elezioni che dovevano tenersi il 16 giugno?
Le ragioni derivano dalle diverse opinioni politiche, tutti siamo d’accordo sul rinvio delle elezioni, ma resta una profonda divisione sulla nuova legge elettorale da adottare.