L’Egitto in rivolta contro Morsi
Precipita la situazione in Egitto; oramai il Paese è nel caos più totale, forse in maniera ancora più accentuata rispetto alla prima rivoluzione di piazza Tahrir, quella che cacciò via il regime di Mubarak.
In tutte le principali città egiziane, dalla capitale Il Cairo ad Alessandria, città dalla quale è partita questa seconda ondata di proteste, folle oceaniche si riversano nelle piazze per chiedere le dimissioni del presidente Morsi.
Un brutto primo anniversario di presidenza per lui; eletto infatti come rappresentate dei Fratelli Musulmani appena 12 mesi fa, oggi Morsi è sotto assedio proprio come lo era l’odiato predecessore.
Sui motivi della protesta e soprattutto su eventuali “mani” esterne volte ad alimentarla, è ancora presto per dar chiarimenti; il Paese è infatti un’autentica polveriera: filo–occidentali, moderati, estremisti di sinistra, nazionalisti, sono tutti insieme in piazza per chiedere la testa di Morsi e tutti portano avanti diverse motivazioni.
Dalla cattiva gestione economica, al timore di una deriva autoritaria, fino alle tanto invocate riforme costituzionali, dalle voci delle folle egiziane antigovernative emergono diverse fibrillazioni e diversi motivi per i quali si inneggia ad una nuova “primavera” egiziana.
Ma come purtroppo era prevedibile, sul campo oltre alle urla, ci sono gli scontri ed è di poco fa il bilancio ufficiale secondo cui a perdere la vita sono stati in 16 dall’inizio delle manifestazioni, mentre oramai non si contano più i feriti.
Una situazione quindi che rischia di precipitare; le guide religiose del Paese, le cui parole hanno una gran risonanza tra la popolazione egiziana, invitano alla calma, al fine di evitare di piombare in una disastrosa guerra civile, ma dall’altro invitano Morsi a non usare il pugno duro.
Ma se sul campo la situazione è difficile, da qualche ora anche a livello politico le evoluzioni contribuiscono nel fare emergere una situazione di caos; 5 ministri del governo, si sono infatti dimessi, aprendo di fatto la strada ad una crisi amministrativa che mette ancora più pressione sul primo presidente dell’era post–Mubarak.
L’Egitto quindi trema, ma da un lato spera ancora di arrivare al più presto ad una stabilizzazione politica ed alla fine di una lunga transizione; ne va anche dell’economia, che in questi giorni di paralisi vive momenti non particolarmente felici.
Quale sia la miccia che ha fatto scoppiare le proteste, di sicuro da piazza Tahrir e delle altre piazze, emerge il quadro di un Paese in cui il malessere popolare è molto elevato e preoccupante, specialmente per il peso politico e culturale che l’Egitto ha sull’intero mondo arabo.