Cronaca

Legge 194, un boicottaggio continuo

La legge 194, che tutela il diritto di abortire, è nata da una battaglia combattuta senza esclusione di colpi, con una larga fetta della politica che trasversalmente ha tentato di bloccarla, Partito Comunista compreso. Il popolo italiano fu chiamato alle urne per il referendum del 1981 svoltosi tra il 17 e il 18 Maggio. In seguito all’approvazione della legge 194, l’allora pontefice Giovanni Paolo II decise immediatamente di dare un chiaro segnale. Infatti, promosse la celebrazione annuale della giornata “a difesa della vita”. Il risultato fu chiaro: il 79,6% degli aventi diritto si recò a votare per il referendum sull’aborto. Il “no” ricevette l’88,5% dei consensi in merito alla proposta radicale e il 67,9% in merito a quella del Mpv.

A 42 anni dall’entrata in vigore della legge 194, che riconobbe il diritto di decidere se interrompere o portare avanti una gravidanza senza che comportasse un reato, le donne continuano a subire un attacco continuo tra obiettori di coscienza e boicottaggi continui della politica.

Abortire, per una donna, diventa il più delle volte un dramma nel dramma, un percorso fatto di violenza psicologica perpetrata da infermieri e medici obiettori, causando ferite psicologiche in soggetti già profondamente provati da un’esperienza limite. Medici obiettori che vengono difesi a spada tratta dalla politica che ignora l’esistenza di una mancata e corretta applicazione della legge 194.

Bisogna fare i conti con la realtà: la legge c’è, le donne se ne servono, i medici non obiettori si contano sulle dita di una mano in tutta la nazione venendo così a mancare il diritto all’autodeterminazione di una donna che sceglie di abortire. L’Italia è piena di raccapriccianti racconti di donne che si sono trovate ad avere bisogno di un aborto.

Nuove linee guida per la legge 194

Ultima vicenda in ordine di tempo è stato il cambiamento introdotto dalle nuove guida del ministro della Salute, Speranza, che ad agosto del 2020 ha esteso il limite della somministrazione del farmaco per l’aborto farmacologico da sette a nove settimane. Le linee di indirizzo del 2010, recepite dal ministero della Salute, permettevano la somministrazione del farmaco solo entro le prime sette settimane di amenorrea (l’assenza di mestruazioni) e consigliavano un’ospedalizzazione di tre giorni.

In Italia, la possibilità dell’aborto farmacologico, dopo molte battaglie, è stata introdotta solo nel 2009 (in Francia nel 1988 e nel Regno Unito nel 1990), ma di fatto è stata fin qui poco praticata. Le limitazioni che non hanno l’effetto di ridurre il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, ma solo di rendere l’esperienza più invasiva e traumatica.

Sono i numeri a fornire lo spaccato di una nazione: la percentuale di aborti farmacologici rispetto al totale delle interruzioni volontarie è del 17,8 per cento in Italia, contro il 97 per cento della Finlandia, il 93 per cento della Svezia o il 75 per cento della Svizzera. Negli altri Paesi europei, l’aborto farmacologico viene espletato o in day hospital o a casa e lo possono somministrare anche i medici di famiglia (in Francia) e le ostetriche (in Francia e in Svezia), dopo un’adeguata formazione, guardando alle cifre si capisce quanta sia, ancora, la strada da percorrere per definire l’Italia un Paese civile.

di Sebastiano Lo Monaco

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