Dopo Renzi… ma cosa festeggiano gli italiani?
Dopo la valanga che ha travolto Renzi, continuano i festeggiamenti da tifoseria di chi s’intesta la vittoria e le facce scure di chi, d’un tratto, è stato sbalzato dalla cresta di un potere che sognava d’esercitare per chissà quanto a piacimento.
D’accordo, è lo sport italico dividersi in Guelfi e Ghibellini a prescindere da tutto, soprattutto dai fatti e dalle idee. Però, mettendo da parte lo sfogo emotivo, qualche riflessione va fatta sul dopo e sul perché di un risultato, al di là di ogni previsione, che, piaccia o no, ha segnato la fine di Renzi e, a parere di molti analisti, di un periodo.
Quella valanga, perché di questo si è trattato, è stata la protesta, peggio, la rabbia di un Paese sgovernato, lasciato a marcire nei suoi problemi, a cui per troppo tempo sono state raccontate favole invece che fornire soluzioni. Una protesta, una rabbia che è stata cavalcata cinicamente quanto abilmente da chi ora corre a intestarsene la paternità.
Diciamolo chiaro, l’approvazione o meno di una riforma pasticciata della Costituzione c’entra poco, c’entra invece il rigetto di un Governo, e soprattutto del suo premier, Renzi, che in nome di un disegno di potere voleva liquidare il vecchio establishment per sostituirlo con uno proprio, anzi, con se stesso. Punto. E per farlo, voleva ridurre i partiti e i leader che non controllava a tappezzeria.
Per l’establishment come per tutti i partiti è stata la battaglia della vita, anzi, del potere da cui rischiavano d’essere esclusi per chissà quanto tempo. E l’hanno vinta usando la rabbia della gente, il disagio sociale di cui a nessuno importa, i morsi di una crisi che nessuno governa. E per comprenderlo basta guardarli: c’erano tutti, dall’estrema destra all’Anpi passando per tutti i partiti e i movimenti; francamente è difficile trovare qualcosa che possa accomunarli.
E non si racconti che era una difesa della Costituzione “più bella del mondo”, perché semplicemente non lo è; chiunque l’abbia studiata sa bene che è il frutto d’infiniti compromessi fra due anime, quella Popolare e quella Comunista, che solo l’enorme levatura dei Costituenti seppe trovare, lasciando la soluzione dei tantissimi problemi alle future generazioni, quando sarebbe stato chiaro verso dove si sarebbe diretta l’Italia: in braccio allo Zio Sam o in braccio a Mosca.
Il guaio è stato che la levatura dei politici che seguirono fu sempre peggiore, per non dire meno che infima, col risultato che imbalsamarono quella creatura (che poteva crescere, eccome, e divenire compiuta) lasciandola ostaggio dei partiti, diventati i padroni dell’Italia.
Sia come sia, Renzi ha perso ed hanno vinto i No, ossia ha vinto la protesta di un Popolo che è stanco di far sacrifici senza costrutto, di vedere il privilegio regola, la corruzione norma e il merito una favoletta da bambini. Il fatto è che quella vittoria, come sempre, è già stata espropriata da un’infinità di padri che su di essa contano di rilanciare le proprie fortune. Già, ma come? Uniti per sventare il pericolo d’essere marginalizzati da Renzi, che il potere lo voleva tutto per sé, s’azzannano già su tutto.
Il dopo è già cominciato, ma è tutt’altro che chiaro: Renzi si vuol dimettere subito per lasciare la patata bollente ai suoi tanti avversari, ma dopo un colloquio informale col presidente Mattarella, allarmato dalla prospettiva che il Premier pianti tutto su due piedi come un ragazzino che persa la partita scappi col pallone, è tornato al Quirinale in forma ufficiale ed ha quanto meno accettato di rimanere in carica per far approvare la legge di bilancio, pena la paralisi dell’Italia. Per il dopo nebbia.
Avuta la vittoria, partiti e potentati s’affannano ciascuno a spingere per la soluzione che più li avvantaggi. E chi se ne importa di concetti superati come responsabilità, o più semplicemente degli interessi di quel Popolo che ha permesso la “loro” vittoria; a parole certo, ma nei fatti.
Per questo non crediamo che ci sia tanto da festeggiare se a un Renzi se ne sostituiranno altri; un fenomeno già visto troppe volte, basti ricordare l’altro referendum che pose fine alla “Prima Repubblica” per aprire all’indecenza del ventennio berlusconiano.
E allora, e per concludere, nessuna vittoria di un Popolo può essere vera (e basta guardare la Storia per saperlo), se quel Popolo non ha consapevolezza di chi siano i propri avversari e perché, e di quali siano i propri mali, ma quelli veri. La rabbia, la protesta, possono servire, ma certamente non bastano ad evitare altri Renzi.
di Salvo Ardizzone