La Turchia si muove per il dopo Mosul
Mentre su Mosul si stringe la tenaglia dell’Esercito iracheno, delle Forze di Mobilitazione Popolare (Hashd al-Shaabi) e dei peshmerga, la Reuters riporta che ingenti forze militari della Turchia si stanno ammassando nei pressi di Silopi, al confine turco-iracheno. Si tratta di movimenti che nulla hanno a che vedere con l’operazione “Scudo dell’Eufrate”, con cui dall’agosto scorso Ankara, approfittando dell’eterna scusa della lotta all’Isis, sta spazzando dai suoi confini le milizie curde.
Il motivo della mobilitazione turca sta nell’offensiva su Mosul, entrata ormai nella fase finale, che determinerà il collasso definitivo del “califfato” e l’inizio della partita vera che regolerà i conti con tutti gli attori che hanno scommesso sulla destabilizzazione del Paese.
Il pretesto scelto dalla Turchia per muoversi sta nella puntata delle Hashd al-Shaabi su Tal Afar, una città a maggioranza turcomanna ad ovest di Mosul, posta sulla via per Raqqa a circa 100 Km dal confine turco ed a soli 70 dal Rojava curdo-siriano. Le Hashd al-Shaabi vi si stanno dirigendo per tagliare la ritirata ai Daesh (che invece la colazione a guida Usa vorrebbe lasciar liberi di riversarsi in Siria) e per costituirsi una base per le prossime operazioni in territorio siriano quando la battaglia per Mosul sarà finita.
Il governo turco ha dichiarato che, se quelle forze entreranno a Tal Afar, si riserva il diritto di intervenire per tutelare la sicurezza della popolazione turcomanna e i propri interessi, suscitando l’immediata reazione di Baghdad contro quella che ha definito una inaccettabile ingerenza.
Per Ankara, la scusa sbandierata che le Hashd al-Shaabi siano a maggioranza sciita e che potrebbero vessare la popolazione sunnita della città, nasconde il suo vero timore: chi controlla Tal Afar controlla lo snodo fra i confini iracheni con la Siria (e il Rojava curdo-siriano) e la Turchia.
Le Forze di Mobilitazione Popolare, nate nel 2014 nel momento peggiore per il Paese, impedirono che l’Iraq collassasse; allora erano costituire essenzialmente da sciiti, ma adesso comprendono anche sunniti e cristiani. Il fatto è che pur obbedendo direttamente al primo ministro Al-Abadi, sono armate ed inquadrate dai Pasdaran iraniani e fanno parte integrante della Resistenza, rendendole nemiche di chiunque manovri ancora per la destabilizzazione di Siria ed Iraq e per il mantenimento di influenze nefaste (vedi Usa, Golfo ed ovviamente Turchia).
Per questo, l’allargarsi del controllo della Resistenza a occidente di Mosul sbarra la strada alle residue mire di Ankara sulla regione.
Ciò che è evidente, è che dietro la definitiva sconfitta del Daesh, obiettivo sbandierato da tutti, c’è la preoccupazione per il dopo: quali assetti emergeranno da quella guerra sanguinosa e quali ruoli potranno rivendicare i vari attori della crisi. Dagli attuali sviluppi è chiaro che la vittoria sul campo dell’Asse della Resistenza archivierà tutti i precedenti equilibri, ridefinendo un nuovo Medio Oriente.
Di qui la corsa al riposizionamento di molti uomini forti della regione (vedi Al-Sisi), e di qui i movimenti di Erdogan (anche sul fronte interno, con la liquidazione della residua opposizione) prima che la liberazione di Mosul apra la fase finale che ridisegnerà tutta l’area.
di Salvo Ardizzone