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Maria del Profeta che ci lega all’Islam

Ragazze di nome Maria ce ne sono molte più in Palestina che in Italia. Ma è così anche in Turchia, in Bosnia e in Iran, dove il nome della Vergine, madre di Isa, ossia Gesù — “Spirito di Allah” — oltre a essere richiesto nell’anagrafe è tema di Almizan fi tafsir’l-Quran, un imponente commentario coranico sulla Madonna. Maria è La Prescelta, il soggetto di un popolare prodotto cinematografico e televisivo. Un film di Sharhyyar Baharani proiettato a Teheran anche nella solennità cattolica dell’Immacolata — immagine non estranea alla visione islamica, se Muhammad, il Profeta, in un hadith dice: «Ogni bambino quando nasce è toccato da Satana, a eccezione di Maria e di Suo Figlio».

Maria, infatti, già preservata dal male nel seno di sua madre Anna, moglie di Imran, è «un segno di Dio per i mondi». Così recita il Corano, che fa della Madonna il personaggio femminile più evocato in tutto il testo sacro dei musulmani, unica a essere menzionata per nome insieme a Gesù che — nella lingua araba, dove tutti sono identificati come «figlio di» un uomo, mai di una donna — è ibn Maryam, cioè «il figlio di Maria».

La Vergine, nella tradizione islamica, non ha con sé uno sposo. Non c’è ricordo di Giuseppe, padre adottivo di Gesù. L’unico uomo presente nel racconto della Madonna, a parte il figlio, è Zaccaria, il sacerdote cui Maria venne affidata appena nata affinché nel tempio trovasse dimora, servizio e destino. Protetta dal velo, intenta al culto divino, Maria — ancora bambina — aveva intorno a sé sempre frutta e fiori. E così, sempre presso di sé, aveva le rose che adornano la mezzaluna. «Da dove proviene tutto questo?» chiedeva Zaccaria. E lei rispondeva: «Mi viene da Dio».

Chiamata all’Annuncio e concependo il Cristo, al momento del parto — rinnegata dalla propria gente — Maria si reca in un luogo remoto. Si rattrista della propria condizione, si sente ghermire dalla solitudine, e, raccolta ai piedi di un albero secco, sospira: «Oh, fossi già morta e dimenticata». Ma davanti a lei appare un ruscello, e dai morti rami dell’albero piovono datteri che subito si trasformano in una palma; e la voce della Misericordia, in quel prodigio, la conforta: «Non essere triste». Il Bimbo le parla: «Sono fonte di benedizione ovunque io sia, sono Elemosina al servizio del popolo di Dio, sono amorevolezza verso mia madre».

Maria Vergine e Miryam, sorella di Mosè e di Aronne, nell’Islam sono fuse in una sola persona; ma è questa evidente illogicità a collocare Gesù nella continuità di rivelazioni anteriori, e conferma nella Madonna ciò che nella sura mariana è indicato come «il Se- greto di Dio». Come a Mosè venne data la Legge scolpita nella pietra, così all’umanità — emancipata dalla Rivelazione — è stato donato il Cristo, soffiato nella viva carne femmina del Ventre, l’istmo che unisce la fragilità terrena e l’Assoluto.

La Festa dell’Annunciazione, in Libano, è da diversi anni festa comune per cristiani e musulmani. La “dormizione” poi — l’occultarsi della Vergine dalla terra, quella che per i cattolici è l’Ascensione al cielo — appartiene alla memoria degli ortodossi slavi e della letteratura islamica, in cui Maria e il proprio Figlio — cui Allah ha impedito la crocifissione — sono le creature che non conosceranno mai tomba. Nel Corano sono ben due i racconti dell’Annunzio di Dio a Maria. La sura a lei dedicata è tra le più solenni e struggenti; e per le genti d’Islam Maria è un segno così forte che nel suo esempio «s’innalza il luogo elevatissimo intorno a cui gira la macina del mondo delle sfere celesti».

A commentare con questa immagine del cosmo la sura di Maria è Ibn Arabi, il doctor maximus damasceno, ispiratore di Dante e di Giovanni della Croce. E «si dà luogo e rango alla poesia», per dirla con Ibn Arabi, se all’inaugurazione della Fiera campionaria di Tripoli, il 21 aprile 1932, la presentazione della Divina Commedia, tradotta in arabo da Abbud Abu Rashid, ebbe a culminare con il XXXIII Canto del Paradiso, come riferisce una corrispondenza de La Domenica del Corriere, a firma di Pietro Caporilli.

Nel racconto del cronista, l’invocazione a Maria («Tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo Fattore non disdegnò di farsi sua fattura») è salmodiata secondo l’impostazione di diaframma dei muezzin e non con l’enfasi dell’accademia. Una dotta Lectio su Maria — la Prescelta — è rimasta agli atti ed è quella tenuta dall’ayatollah Ali Akabr Naseri nel Convento dei Benedettini — sede della Facoltà di Lettere dell’Università di Catania — l’8 dicembre 2009, in occasione della festa dell’Immacolata.

Nel rivolgere il saluto, lo studioso di Qom dice: «Permettetemi di dirvi che una delle mie figliole, con mio grande onore, si chiama proprio Mariam». L’Insigne tra le donne, la Casta, l’Interlocutrice degli Angeli, la Ricevitrice della Buona Novella, l’Immacolata: questi e i molti altri appellativi riservati dai musulmani alla Madonna sono rivelatori di una posizione teologica “al femminile” della tradizione islamica. Imran e Anna desideravano un figlio da affidare al Tempio ed ebbero una bimba, Maria. E così Muhammad: vide morire i tre figli maschi ed ebbe assicurata la progenie dalla figlia Fatima, il cui titolo è Dono di Dio. Fatima e Maria sono il pilastro d’amore nella sensibilità di cristiani e di musulmani.

Molti sono i santuari dove pellegrini dell’una e dell’altra fede — gli uni senza cedere ai richiami occidentalisti dello scontro di civiltà, gli altri aborrendo il fondamentalismo assassino — si ritrovano accomunati dal desiderio tutto spirituale di procedere verso l’essenza. Il pellegrinaggio, per i musulmani, è solo l’hajj, a Mecca. A Fatima, in Portogallo — dove la Madonna porta al modo di un predicato il nome della figlia di Muhamad, sposa di Ali ibn Abi Talib — atterrano aerei provenienti dall’Iran: i passeggeri sono prevalentemente donne, e scelgono il maggio. Non è certo semplice turismo: piuttosto una catena dove ogni anello è un petalo di rosa che si dischiude in un legame il cui segreto è sempre il Ventre, viva carne di femmina.

di Pietrangelo Buttafuoco

Fonte: Repubblica.it

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