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La complicità egiziana nell’aggressione alla Striscia di Gaza

Egitto – Valico di Rafah

di Manuela Comito

I media egiziani hanno dichiarato nella mattinata del 28 luglio che le autorità terranno aperto il valico di Rafah per tre giorni, durante le celebrazioni della fine del Ramadan, così da consentire ai palestinesi di ricevere assistenza umanitaria. I funzionari di Gaza, però, hanno più volte ribadito che il valico di frontiera di Rafah, l’unico non controllato da Israele, è rimasto chiuso in entrambi i sensi da quando è cominciata l’offensiva militare israeliana contro l’enclave costiera, e ciò ha impedito ai feriti, anche a quelli gravissimi, di poter essere curati e alle delegazioni internazionali di medici di entrare nella Striscia. Il governo egiziano ha anche impedito l’ingresso in territorio palestinese di un convoglio di aiuti umanitari, destinati a lenire, seppure in minima parte, le sofferenze dei civili inermi sottoposti a bombardamento continuo dal governo di Tel Aviv.

Il popolo egiziano ha manifestato più volte affinché il proprio governo alleggerisca le restrizioni contro la Striscia di Gaza e ciò anche prima dell’aggressione israeliana “Protective Edge”. Tuttavia l’Egitto sembra mostrarsi riluttante ad assumersi alcuna responsabilità. In questi giorni si tende a fare un paragone con quanto avvenne nel novembre 2012, quando l’allora presidente egiziano Mohamed Morsi mediò un accordo di cessate il fuoco tra Hamas e Israele, che pose fine all’aggressione israeliana denominata “Pillar of Cloud”, dopo 8 giorni di conflitto. Ma la situazione politica egiziana ora è molto diversa e il generale Al-Sisi sin dal primo giorno in cui ha preso il potere, deponendo Morsi, nel luglio 2013, ha mostrato ostilità al governo palestinese della Striscia, distruggendo quasi il 90% dei tunnel della sopravvivenza che servono come vie di rifornimento di beni di prima necessità e accusando Hamas di voler intervenire nella politica interna dell’Egitto e di condurre attacchi all’interno del Paese. Hamas ha sempre rigettato ogni accusa. Per questo i palestinesi della Striscia di Gaza hanno spesso parlato di un’occupazione egiziana e di una complicità tra l’Egitto e Israele nel mantenere la popolazione civile sotto un duplice assedio.

In un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano il 27 luglio, Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano, ha così delineato la situazione attuale: “L’Egitto come mediatore non è credibile. Resta l’unico Paese arabo con la Giordania ad intrattenere relazioni diplomatiche con Israele e conserva un’egemonia culturale nel mondo arabo, ma rispetto alle crisi precedenti, quello in campo oggi è un altro Egitto. L’attuale presidente al-Sisi ha fatto della Fratellanza Musulmana il nemico numero uno e Hamas le è indissolubilmente legato. Al-Sisi è un mediatore accettato da Israele, ma non è ritenuto credibile dall’altra parte in causa. Prima dello scoppio della crisi, l’Egitto distruggeva i tunnel, rafforzava le linee di difesa sul Sinai e teneva spesso chiuso il valico di Rafah, mentre sotto Morsi quest’ultimo era aperto di frequente. La mia impressione è che da solo l’Egitto non possa portare a una tregua”.

Intanto il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito d’urgenza nella notte tra il 27 e il 28 luglio a New York e i rappresentanti dei 15 Paesi membri hanno esortato le parti in causa a far «applicare pienamente» la tregua per tutta la durata della festa musulmana dell’Eid al-Fitr (la fine del Ramadan) «ed oltre». Il Consiglio di sicurezza ha chiesto inoltre il «pieno rispetto del diritto umanitario internazionale, in particolare per quanto riguarda la protezione dei civili», nonché sforzi per «la messa in pratica di un cessate il fuoco duraturo e pienamente rispettato, basato sulla proposta egiziana» di mediazione. L’Onu sottolinea poi «la necessità di fornire immediatamente assistenza umanitaria alla popolazione palestinese nella Striscia di Gaza, anche aumentando i contributi all’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa)». Tre giorni dopo il sanguinoso bombardamento su una scuola dell’Onu a Gaza, il Consiglio ricorda infine che «le strutture civili e umanitarie, comprese quelle delle Nazioni unite, devono essere rispettate e protette e invita tutte le parti ad agire secondo questo principio».

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