Attualità

Muro di Berlino, sogno infranto di un’Europa sovrana

Oggi si celebra il 32° anniversario della caduta del Muro di Berlino. Al di là delle celebrazioni ipocrite quanto stucchevoli, è stato l’anniversario d’una colossale occasione per l’Europa, gettata via dai leader europei del tempo per il gretto egoismo di alcuni e la sudditanza di praticamente tutti agli interessi Usa. Per rifare quella storia dobbiamo tornare indietro, a quando, a Yalta, il mondo fu diviso in due: a Oriente imperava Mosca, a Occidente gli Usa. L’Europa fu il fulcro di quella spartizione e il resto del pianeta fu costretto ad allinearsi all’uno o all’altro blocco. I pochi che provavano a rimanerne fuori avevano la propria agibilità enormemente limitata perché, in un modo o nell’altro, dovevano fare i conti con le potenze che s’erano spartite il globo.

Muro di Berlino e Vecchio Continente

In quel clima di confronto drammatico, con sullo sfondo la prospettiva d’un olocausto nucleare, il Vecchio Continente rimase spezzato in due, schiacciato dal tallone sovietico a Est, succube degli interessi Usa a Ovest. Molto ci sarebbe da dire sul come questa reciproca minaccia speculare fosse funzionale alle due “Superpotenze”, nei fatti due brutali imperialismi, per esercitare il loro predominio sul mondo.

Per quanto riguarda l’Europa, a Oriente fu come ibernata, perdendo anche la finzione di sovranità, e tutti i tentativi di risveglio furono stroncati sanguinosamente. A Occidente, il paventato pericolo da Est giustificò nei fatti un assoggettamento a Washington esercitato attraverso la Nato e i diktat ai Sistemi politici ed economici dei vari Stati. Tale predominio, esercitato comunque su quel mezzo Continente, si traduceva in una sudditanza più o meno assoluta in funzione delle condizioni politiche ed economiche dei vari Paesi, e degli interessi dei loro establishment.

Caduta Muro di Berlino, la posizione dell’Europa

Nel caso dell’Italia, uscita distrutta e divisa dalla guerra sciagurata in cui s’era cacciata, con una classe dirigente in bilico che vedeva Washington come unica garante del mantenimento del proprio potere, il grado d’assoggettamento fu massimo. Per la Francia di de Gaulle fu assai più contenuto. Parigi aveva una propria agenda d’interessi e per molto tempo s’illuse di poterla gestire con le proprie forze, andando incontro a sconfitte brucianti. Londra basava tutta la sua politica nel rapporto “speciale” con gli Usa, con cui finì per avere un’assonanza quasi assoluta. La Germania, con sulle spalle le immense responsabilità storiche d’una guerra spaventosa e l’Armata Rossa sull’uscio, divisa e impegnata nella ricostruzione dalle rovine, allinearsi era una via obbligata.

Malgrado le velleità di alcuni Stati, Francia per prima, era evidente che, nel mondo quale era divenuto, quei Paesi avevano un peso ormai irrilevante. Così, sotto la spinta della necessità (e delle convenienze) più che d’una reale comprensione dei fatti, iniziò un processo aggregativo che nei decenni condusse alla Comunità Europea. Gli Usa lasciavano fare, perché troppo forte era il ricatto esercitato per la garanzia del mantenimento di quei Sistemi e, in fondo, un unico contenitore su cui mantenevano pieno controllo attraverso i Paesi più influenti, era preferibile a un reticolo di singole relazioni con tutti i soggetti, che comunque venivano mantenute. E poi, su tutto c’era la permanenza della Nato, a cui quegli Stati aderivano per esorcizzare la paura dell’altro Patto, quello di Varsavia, a legare quel mezzo Continente a Washington e alle sue logiche.

Ma i processi, messi in moto, seguono il loro corso. Alla vigilia del crollo del Muro, i Paesi della Ce erano divenuti 12, il grado d’integrazione fra essi enormemente aumentato e il dibattito era su quale sbocco dare a quel progetto: unione politica in una federazione o, più probabilmente, confederazione di Stati, con tutto quello che ne sarebbe venuto: la nascita d’un vero soggetto politico continentale. 

Muro di Berlino e crollo dell’Urss

Il repentino crollo dell’Urss sparigliò tutti i calcoli delle Cancellerie. Il ricatto della paura s’era dissolto, ora i Paesi europei avrebbero potuto prendere la loro strada, svincolandosi dal servaggio d’oltre Atlantico. Avrebbero… ma tutto era accaduto troppo in fretta. Nell’intera Europa ci fu un solo leader che, con tutti i suoi difetti, seppe agire da statista  per la propria Nazione: fu Helmut Kohl che, contro le paure e gli interessi del resto del Continente e non solo, riunificò la Germania.

Qui s’innescò il meccanismo che fece deragliare la possibilità, unica e irripetibile, di costituire un reale soggetto politico europeo. La Francia di Mitterrand aveva fino ad allora teorizzato una Confederazione europea che avesse due poli: uno mediterraneo, con Parigi al centro; un altro mitteleuropeo, aggregato attorno alla Germania. La riunificazione tedesca e il collasso del blocco ex sovietico cambiavano completamente le prospettive: Berlino, fresca capitale d’una Nazione ricompattata, avrebbe allargato la sua influenza su tutti i Paesi dell’Est ed acquisito un peso politico tale da egemonizzare l’Europa.

Lo stesso pensava la Thatcher, da una diversa prospettiva: dinanzi al sorgere di una vera potenza continentale, Washington avrebbe spostato il suo rapporto “speciale” dal Tamigi alla Sprea, relegando l’Inghilterra a comprimaria. Neanche l’Italia di Andreotti era entusiasta della possibilità, perché riteneva che il baricentro della politica e degli interessi si sarebbe spostato assai lontano dal Mediterraneo.

Il risultato fu che qualunque idea di reale aggregazione politica, sia federale che confederale, fu accantonata sotto la spinta della paura che la Germania divenisse egemone nel nuovo soggetto. Per esorcizzare il rischio, i “decisori” europei pensarono d’allargare indefinitamente i confini della Comunità, poi divenuta Unione (ma di cosa?), annacquando il progetto iniziale in un orribile ibrido privo di anima, che parlava solo il linguaggio della burocrazia e dell’economia, ma fino a un certo punto perché anche in questo non si ebbe la lucidità d’andare fino in fondo.

Nascita dell’Euro

Nacque il mostro dell’Euro: invertendo il naturale ordine delle cose, si creò una moneta che non rappresentava uno Stato, non aveva dietro un’unica politica economica e fiscale, con una Banca Centrale che non era creditrice di ultima istanza (vale a dire che non rispondeva dei debiti contratti dai singoli Stati). Un’assurdità basata su una montagna di regole astruse fatte per non funzionare, i cui effetti deleteri sono sotto gli occhi di tutti.

Fu un errore colossale dettato dalla miopia, grettezza ed egoismo di vari Paesi, Francia e Inghilterra in testa e gli altri a seguire: la Germania sarebbe stata disposta ad accettare qualunque accomodamento, qualunque sistema di garanzie, pesi e contrappesi in un sistema politico che l’avesse integrata in un soggetto politico unico, pur di avere la luce verde per la riunificazione. Lo stesso Kohl, che almeno sapeva guardare lontano e che era cosciente dei limiti dei suoi connazionali, non si stancava di ripetere che voleva una Germania europea e non un’Europa tedesca. Prevalse la meschineria.

Sistema europeo

Nel sistema europeo che ne venne, basato sulle singole forze economiche, Berlino vinse a mani basse e creò comunque una sua sfera d’egemonia economica ancor più grande, a servizio del solo Sistema Paese tedesco, che, sostanzialmente, ha preso in mano una gestione dell’Euro e delle politiche di bilancio, allineate ai propri interessi di breve-medio periodo, che ora, dopo aver distrutto le economie di mezzo Continente, stanno mostrando tutte le loro pecche finendo per ricadere pesantemente anche sulla stessa Berlino. 

Gli Usa, che avevano vissuto con un certo nervosismo la possibilità della nascita d’un vero soggetto politico in Europa, salutarono con un sospiro di sollievo la scelta fatta dopo l’89 d’un annacquato allargamento a Est privo di contenuti veri. Per Washington il problema, e grosso, sarebbe stato la nascita d’una realtà coesa e forte che attraesse progressivamente nella propria area d’influenza gli Stati che faticosamente s’andavano a stabilizzare a Est. Non fu così.

La corsa a Oriente d’una Unione ridotta ad ectoplasma, una sorta di club privo di ragione sociale, ha obbedito pienamente alla logica Usa di dilatare quanto più possibile la propria influenza (tramite appunto la Ue) nell’area che era stata dell’altro Impero fin sui confini della Russia, approfittando della sua eclissi. Al contempo, di estendere il proprio sistema di dominio e controllo tramite l’espansione della Nato, malgrado, con la caduta di quel Muro, fosse sparita la sua ragione d’essere ufficiale.

Risvolti

Ma la Geopolitica è sempre in movimento, anche contro i desideri di chi tira le fila. La Russia s’è risollevata e la Germania, in nome del proprio peso sempre maggiore, ha rivendicato una sua influenza a Est e un rapporto paritario con l’antica Superpotenza, ovviamente al di là e al di fuori dall’Unione. Legami e collaborazioni s’erano intrecciate negli anni, era nella forza delle cose, ed altri Paesi, come la stessa Italia, s’erano rivolti a Oriente per intessere rapporti. Per gli Usa, esclusi da quest’area che si stava saldando escludendoli, s’imponeva un’azione.

Crisi ucraina

La crisi ucraina è stata la soluzione ideale, che ha svelato in pieno quale nano politico fosse Bruxelles. Con il golpe orchestrato a Kiev nel febbraio 2014, Washington ha riportato indietro il tempo di 25 anni ricreando un nemico a Est, spinto l’Europa a una contrapposizione assurda e contro i propri interessi, ridato una funzione alla Nato. Tutto sulla pelle di quegli europei che nell’89 buttarono al vento la possibilità che la Storia gli offriva di liberarsi dai servaggi. Tutti. Da Est come da quello d’oltre Atlantico che continua ancora.                    

di Salvo Ardizzone

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