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Italia: una Legge di Stabilità che ignora la povertà e fa regali alle imprese

di Salvo Ardizzone

Giovedì il Consiglio dei Ministri ha licenziato la Legge di Stabilità, presentata subito dopo dal premier Renzi nell’ennesima conferenza stampa con le immancabili slides sullo sfondo.

Si tratta di una manovra da 26,5 Mld, per oltre la metà in deficit (vale a dire sperando che la Ue autorizzi l’Italia ad aumentare il debito) e per il resto con coperture quanto meno dubbie, che rendono obbligatorio l’inserimento delle clausole di salvaguardia (la cui applicazione è tutt’altro che improbabile vista la situazione), vale a dire nuove tasse se non si riuscisse a raggranellare i soldi in altro modo.

Al centro di essa non c’è né la lotta alla povertà ed al disagio (a cui sono dedicati solo alcuni interventi marginali), né il recupero del potere d’acquisto di salari e stipendi (vergognose le briciole messe in bilancio per contratti fermi da troppi anni) che rimetterebbero in moto i consumi, ma una serie di regali alle imprese, l’abolizione indiscriminata delle tasse sulle prime case (anche per chi non ne avrebbe proprio bisogno) e per concludere un regalo agli evasori con l’innalzamento dell’uso del contante a 3mila euro. Insomma, una Legge di Stabilità che Berlusconi e i suoi avrebbero sottoscritto alla grande se, dalla cosiddetta “opposizione”, non fossero costretti a criticarla.

Anche la tanto evocata spending review resta per strada: ai tempi di Cottarelli avrebbe dovuto dare un gettito di 18 Mld, scesi nell’aprile scorso a 10 dopo le sue dimissioni e l’avvento di due nuovi commissari. Adesso sono arrivati a 5, insieme alle dimissioni di Roberto Perotti (uno dei due commissari alla spending), un economista bocconiano che si è visto usato e messo da parte. Di voglia d’incidere sul serio sui tanti sprechi (dietro cui si nascondono le ruberie), che fanno della spesa pubblica un buco nero ingovernabile, neanche a parlarne.

Come detto, per finanziare questo colossale spot elettorale diretto alla classe media, servirà il via libera dell’Europa a incrementare il rapporto deficit/pil (di ridurre il debito complessivo neppure si parla). E qui cominciano i dolori dietro cui si celano le nuove tasse, aggravi di accise e così via, che scatterebbero se Bruxelles ci dicesse no come ha più volte ventilato.

Ma invece di preparare adeguatamente il duro confronto che si prospetta con la Ue, per non perdersi la passerella della conferenza stampa, Renzi è arrivato con tre ore di ritardo al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dove si discuteva ancora del nodo irrisolto dei migranti, e soprattutto è mancato al prevertice fra Merkel, Hollande e Cameron che ha preceduto la riunione.

Un’assenza certamente non sentita da chi s’accordava su quanto era realmente importante per i rispettivi Paesi, ma doppiamente pesante per un’Italia in prima linea sia sulla questione dei migranti, che per l’applicazione delle astruse regole del Fiscal Compact, a cui proprio Renzi ha appeso la sostenibilità della Legge di Stabilità.

È l’ennesima dimostrazione di superficialità e dilettantismo di un Premier capace solo di spot pubblicitari, incurante del reale stato del Paese, lasciato allo sbando in un momento di cruciale importanza e delicatezza.

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