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Italia. A Gioia Tauro le armi chimiche siriane

di Manuela Comito

Il 16 gennaio, è stato annunciato dal capo dell’Opac, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, Ahmet Uzumcu, che le armi chimiche provenienti dalla Siria transiteranno nel porto calabrese di Gioia Tauro. E’ stato poi il Ministro dei Trasporti Maurizio Lupi a dare la notizia alle Commissioni riunite di Affari Esteri e Difesa di Camera e Senato. Il ministro degli Esteri Emma Bonino ha parlato della più importante operazione di disarmo degli ultimi 10 anni, che «sarà condotta con la ricerca della massima sicurezza».

In un’intervista sul Corriere della Sera, ha dichiarato: «La scelta non l’ho fatta io, ma dal punto di vista dei requisiti, l’indicazione del porto di Gioia Tauro sia conseguente. È un porto di eccellenza e le ragioni portate dal ministro Lupi mi sembrano convincenti». «Per essere chiari va detto che stiamo parlando di materiale tossico, non di armi chimiche – prosegue Bonino -. Nei container l’agente chimico e gli inneschi sono ovviamente separati: diventano armi solo se vengono messi assieme, di solito nella testata del razzo.

Il trasbordo, che avverrà da banchina a banchina, senza stoccaggio, impiegherà più o meno 48 ore». «Le operazioni sono un po’ in ritardo per problemi in Siria. Il trasbordo sulla nave americana Cape Ray, a Gioia Tauro, dovrebbe avvenire a fine mese o a inizio febbraio. La Cape Ray poi distruggerà i materiali in acque internazionali mediante idrolisi. I residui saranno trasferiti in Germania e Gran Bretagna per essere convertiti in sostanze utilizzabili dall’industria».

Di tutt’altro avviso i sindaci dei 2 comuni, Gioia Tauro e San Ferdinando, coinvolti nell’operazione, rispettivamente Renato Bellofiore e Domenico Madafferi, che hanno protestato per la scarsa attenzione mostrata dal ministro che non si è nemmeno preoccupato di avvisare le autorità locali, le quali hanno appreso la notizia dai media. Bellofiore e Madafferi hanno sottolineato la loro preoccupazione per la totale assenza di strutture ospedaliere in grado di affrontare l’emergenza qualora avvenisse un incidente e hanno dichiarato che è loro intenzione attuare ogni attività lecita e legale per impedire che le operazioni avvengano nel porto di Gioia Tauro.

Si è discusso anche della possibilità di chiudere momentaneamente il porto, anche se questo non rientra nelle competenze del sindaco. A quest’ultima ipotesi ha replicato con decisione il ministro Lupi, ribadendo che operazioni analoghe a questa, con smaltimento di sostanze chimiche, avvengono tutto l’anno nello scalo calabrese. Alle preoccupazioni espresse dai rappresentanti delle istituzioni locali hanno fatto seguito le dichiarazioni del Presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti: «È vero che la Calabria può offrire un contributo contro le armi chimiche e per la pace nel mondo, ma è anche vero che così facendo si rischia di portare alla guerra civile un territorio. Credo che il presidente Letta e il ministro Bonino – ha aggiunto – abbiano delle grandi responsabilità su quanto sta accadendo oggi nella nostra terra in quanto prima di qualsiasi assenso avrebbero dovuto avvertire il bisogno di coinvolgere le istituzioni locali, a iniziare dall’ente Regione, fornendo tutte le garanzie necessarie rispetto a una operazione così delicata».

Intanto, il governo di Damasco sta trasferendo le sue armi nel porto di Latakia, dove una parte è già stata caricata su una nave danese, che le condurrà nel porto di Gioia Tauro, e qui verranno caricate sulla Cape Ray, unità americana attrezzata a distruggerle con il procedimento chimico dell’idrolisi. L’intera operazione è gestita dall’Organizzation for the Prohibition of chemical Weapons (Opcw) e il programma prevede che in base alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2118 e alle decisioni del consiglio Direttivo dell’Opcw, le armi chimiche provenienti dalla Siria devono essere distrutte entro il 30 giugno 2014.

Secondo quanto reso noto dall’Opac, il carico è di 1500 container che proteggono contenitori sigillati e a doppia camera stagna filtrata con carbone attivo per evitare che gas letali, come iprite o sarin, possano contaminare persone o ambiente prima di essere resi inefficaci. In queste ore, il diplomatico turco a capo dell’Opac, Ahmet Uzumcu, ha ammesso che la rimozione e la distruzione delle armi procede a rilento rispetto ai tempi previsti per l’infuriare dei combattimenti in Siria, al punto che solo 16 delle 560 tonnellate di sostanze chimiche primarie previste ha raggiunto il porto di Latakia, ultima tappa su territorio siriano.

E’ doveroso, infine, offrire qualche spunto di riflessione, ripotando alcuni brani di un articolo che Manlio Dinucci ha pubblicato a settembre 2013: “Il martellamento politico-mediatico sulle armi chimiche della Siria, che secondo le «prove» segrete della Cia sarebbero state usate dalle forze governative, genera la diffusa impressione che sia ormai solo la Siria a possedere tali armi e che con esse minacci il resto del mondo. Potenza delle armi di distrazione di massa, capaci di focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su un singolo punto, facendo sparire tutto il resto.(…) Perché la Siria non ha firmato la Convenzione sulle armi chimiche? La risposta, in termini essenziali, è: perché ha puntate addosso le armi nucleari israeliane. Non solo. Israele ha costruito dagli anni Sessanta anche un sofisticato arsenale di armi chimiche. Ma, come quello nucleare, resta segreto poiché Israele ha firmato ma non ratificato la Convenzione sulle armi chimiche. Secondo un rapporto di «Foreign Policy», basato su un documento della Cia, avanzate ricerche sulle armi chimiche furono condotte nel Centro israeliano di ricerca biologica e tali armi furono prodotte e stoccate nel deserto Negev, a Dimona, dove si producono anche armi nucleari. Lo riferisce perfino il «Jerusalem Post». Anche se Israele non avesse conservato tale arsenale, scrive la rivista specializzata «Jane’s», possiede la capacità di sviluppare in alcuni mesi un programma di armi chimiche offensive”.

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