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Israele, poche idee e confuse per un futuro sempre più incerto

di Salvo Ardizzone

Sotto l’incalzare degli eventi, la situazione è in rapida evoluzione nell’intero Medio Oriente e più che mai in Palestina, dove la popolazione ha ormai compreso che l’unica risposta possibile alla brutale occupazione israeliana è stringersi nella Resistenza, facendo fronte comune contro il sionismo e i fantocci che a vario titolo collaborano con Tel Aviv, per mantenere privilegi e posizioni di potere.

Che le cose siano cambiate radicalmente, Israele è stato costretto a rendersene conto giusto un anno fa, quando lanciò l’operazione “Margine di Protezione”, nell’intento di entrare a Gaza per smantellare le strutture della Resistenza. La reazione delle Brigate Ezzedin al-Qassam di Hamas e delle Brigate al-Quds della Jihad Islamica fu durissima: malgrado 49 giorni di bombardamenti che sganciarono su Gaza oltre 20mila tonnellate di esplosivo, martirizzando la popolazione con oltre duemila morti ed infinite distruzioni, le truppe di elite dell’Esercito israeliano non riuscirono ad entrare, pagando comunque il più alto prezzo di sangue dalla tentata invasione del Libano nel 2006.

La bruciante sconfitta, mascherata sui media in mille modi, è suonata come un campanello d’allarme per lo Stato Maggiore israeliano posto dinanzi alla realtà: non ha più di fronte eserciti più o meno raccogliticci, guidati da generali approssimativi e da Governi pronti a vendersi ed a piegarsi; ora ha per nemico organizzazioni che nascono da popolazioni che hanno preso coscienza, che sanno di non aver nulla da perdere se non il giogo durissimo a cui sono state sottoposte, che hanno addestramento, mezzi, direzione, che sono finalmente unite nella Resistenza contro un’oppressione che dura ormai da quasi settant’anni.

Il comando israeliano, spalleggiato dal Mossad, ha inutilmente cercato più volte di far comprendere la situazione ad una dirigenza politica ostinatamente slegata dalla realtà, che continua a vagheggiare un “Grande Israele”, proseguendo politiche di aggressione sempre più fallimentari, che stanno portando il Paese verso la rovina.

La cosa che più preoccupa lo Stato Maggiore, e ora anche il Governo, è la mancanza di notizie certe: sanno che Hamas e la Jihad Islamica a Gaza sono più forti che mai; sanno che nei Territori occupati è un moltiplicarsi di cellule combattenti sempre più organizzate ed armate; sanno che dal Golan siriano sono stati spazzati via i loro alleati di al-Nusra e dell’Isis; e sanno soprattutto che dal Libano Hezbollah prepara una tempesta. Ma non hanno certezze, dati, notizie concrete.

Quello che era un antico punto di forza di Israele ora manca: il vantaggio che il Mossad sapeva dare alla dirigenza israeliana, infiltrando Paesi e dirigenze corrotte. Intendiamoci: gli informatori prezzolati non mancano, né a Gaza e neppure nei Territori occupati, ma ciò che riferiscono è frammentario e non fa che aumentare le preoccupazioni di chi s’era abituato all’arroganza.

L’unico alleato vicino sul campo, al-Sisi, impegnato ad instaurare un regime di potere per sé e per la casta militare egiziana che vede nella Resistenza un nemico mortale, ha una intelligence sgangherata, costretta a dividersi su più fronti: Libia, Sudan e Sinai; non ha né i mezzi, né le competenze per farlo e i pietosi risultati lo dimostrano: in poche parole è praticamente irrilevante.

Il Mossad è cosciente di questa situazione di debolezza, e più volte i suoi capi si sono scontrati con Netanyahu e i suoi ministri, che non vogliono accettare lo stato delle cose; a fine anno il Servizio subirà l’ennesimo ribaltone, e a dirigerlo andrà Ram Ben Barak, l’attuale Direttore Generale presso il Ministero degli Affari Strategici e delle Informazioni; il più ascoltato consigliere di Netanyahu, che così non avrà più il fastidio di sentirsi richiamare alla realtà.

Ma per quanto ossequioso al suo capo, Barak non è uno sprovveduto; in una recente intervista ha dichiarato che la prossima guerra che Israele dovrà affrontare (e che non si farà attendere) non sarà contro un esercito regolare, ma contro organizzazioni e con tutta probabilità all’interno dello stesso territorio israeliano. Sarà un tipo di guerra completamente diverso che non verrà condotto con carri da battaglia, inutili in un simile scenario, e che costringerà le forze di sicurezza di Tel Aviv a ricorrere a mezzi e a sistemi completamente nuovi.

È in questa ottica che Tsahal, nel tentativo di preparare uno strumento più adatto alla tempesta che vede addensarsi, ha deciso di riunire in una Brigata di forze per operazioni speciali i suoi reparti migliori. Si tratta del Sayeret “Maglan” (ibis), un reparto di ricognizione speciale attualmente aggregato alla 98^ Divisione paracadutisti, ma che al momento dipende direttamente dallo Stato Maggiore; del Sayeret “Rimon” (melograno), attualmente aggregato alla Brigata di elite “Givati”; del Sayeret “Egoz” (nocciola), attualmente aggregato alla Brigata “Golani”; del Sayeret “Duvdevan” (ciliegia), un reparto a disposizione del Comando Centrale, che agisce sotto copertura in Cisgiordania in stretto contatto con la Divisione “Giudea-Samaria”. La Brigata sarà aggregata alla 98^ Divisione paracadutisti per costituire una massa di manovra da opporre a ciò che si sta preparando.

Non sarà spostando queste pedine che Israele potrà salvarsi da una rovinosa sconfitta, destinata a infrangere definitivamente il regime di violenza e sopraffazione instaurato dall’entità sionista per tutti questi anni. L’Esercito lo sa fin troppo bene, lo sanno i Servizi, chi s’ostina ad ignorarlo è Netanyahu e il suo Governo, che imperterrito continua a guidare il Paese verso il più completo disastro, costruendo la sua fine mattone dopo mattone.

È la Storia che si prende la sua rivincita, accecando chi è destinato a perdere, mettendo fine ad un Sistema che è vissuto sui crimini, la violenza e l’ingiustizia.

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