Iraq: gli Usa inviano altri 560 militari
di Salvo Ardizzone
Il Segretario della Difesa Usa Ashton Carter, ha annunciato l’invio in Iraq di altri 560 militari, essenzialmente appartenenti alle Forze Speciali; la decisione presa da Obama porta a 4.657 il numero dei soldati americani ufficialmente schierati in quel teatro.
La mossa dell’Amministrazione sarebbe stata adottata in vista della prossima offensiva su Mosul; essa cade a pochi giorni dalla liberazione, da parte delle forze irachene, dell’aeroporto di Qayyarah, circa 40 miglia a sud di quella città; il campo, fra il 2003 e il 2011 era un importante scalo logistico del contingente Usa.
Ashton Carter si è recato a Baghdad lunedì, con la motivazione ufficiale per incontrare i leader iracheni in vista del proseguo della guerra contro l’Isis dopo i recenti successi conseguiti dall’Esercito e dai volontari sciiti. Dopo il primo ministro Al-Abadi, ha incontrato il ministro della Difesa al-Obaidi e il presidente della regione autonoma curda Barzani.
Il motivo principale che sta spingendo Obama a muoversi dopo anni d’immobilismo pressoché totale, è che le forze irachene, insieme ai volontari sciiti, stanno sbaragliando l’Isis assai più rapidamente di quanto gli Usa desiderassero e, comunque, avrebbero mai pensato.
Malgrado un appoggio quantomeno reticente, Falluja è caduta insieme a numerosi altri centri; il Comando Usa vorrebbe frenare l’avanzata per potervi inserire le formazioni curde fedeli a Barzani (legato a doppio filo a Washington), ma rischia di rimaner tagliato fuori comunque dagli sviluppi sul campo.
L’invio di sempre nuovi soldati Usa è dettata da una duplice ragione: da un canto intestarsi una parte del merito della sconfitta dell’Isis (adesso che è in rotta), dall’altro disporre di reparti sul campo per il dopo, quando si arriverà a un confronto fra Barzani e il Governo centrale. I miliziani curdi, forti della protezione Usa, intendono impadronirsi di quanto più territorio possibile (comprese le risorse petrolifere della zona) sottraendolo alle popolazioni arabe e all’autorità di Baghdad.
Uno scoperto doppio gioco che arriva ad inviare terroristi e provocatori nel Kurdistan iraniano, in aperto contrasto con le altre formazioni curde, Puk e Gorran, ostili allo strapotere corrotto e familistico di Barzani, e riconoscenti per l’aiuto vero prestato dall’Iran quando la spallata dell’Isis aveva travolto i peshmerga come birilli.
Quella dell’Iraq è una partita dove gli Usa tentano di rimanere in gioco comprando le pedine peggiori come Barzani, e sfruttando le ultime occasioni per inviare truppe in un’area da cui finalmente saranno espulsi quando, schiacciata sul campo l’aggressione, chi ha combattuto tornerà e liquiderà il mondo di corrotti e manutengoli fiorito al seguito dello Zio Sam.