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Business e speculazione nel fotovoltaico in Italia

di Salvo Ardizzone

Lo sviluppo delle energie rinnovabili dovrebbe essere obiettivo di ogni Sistema Paese responsabile, che dovrebbe impegnarsi a incentivarle, come in effetti avviene in tutta Europa; il fatto è che in Italia gli incentivi alle rinnovabili in generale, e al fotovoltaico in particolare, da doveroso sostegno col tempo sono divenuti occasione di speculazione per lobby, investitori e banche, come in nessun altro Paese europeo.

La storia degli incentivi alle rinnovabili è lunga, ma per mantenerci al fotovoltaico, che ne è l’ambito più significativo, la svolta avviene nel 2010, quando, nell’ambito del decreto “salva Alcoa”, appoggiato un po’ da tutti i partiti presenti in parlamento, si sono spalancate le porte a un autentico fiume di denaro; per capirci, gli incentivi, che nel 2010 ammontavano già a 900 ml, sono decollati ai 4 mld del 2011 per arrivare ai 6 mld del 2012, costringendo il Governo in carica a un primo intervento, che ha frenato l’importo a 6,7 mld per il 2013; in quel momento, i sussidi erano pari a 313 € per megawattora, cioè il doppio dell’incentivo tedesco (162 €) e della media europea (160 €).

Inutile dire che incentivi così corposi (insieme a quelli degli altri comparti delle rinnovabili, nel 2013 hanno raggiunto la cifra di 13,2 mld che, ricordiamo bene, sono pagati dalle bollette di tutti gli italiani e contribuiscono non poco a fare della nostra la bolletta energetica più cara) hanno attirato come mosche sul miele speculatori nostrani come esteri, e si sono rivelati un business non da poco per le banche che, con le operazioni mirate al fotovoltaico, hanno costruito un mercato di finanziamenti senza rischio (e ben remunerativo) della dimensione stimata di circa 40 mld.

Il fatto è che gli interventi del Governo, che spalmano da 20 a 24 anni i benefici, se sono un sollievo per la bolletta energetica calcolato in circa 500 ml annui, dall’altro, secondo banche e associazioni delle aziende del settore, metterebbero a rischio i parametri dei “project financing” in corso con gli istituti di credito. In poche parole, la diminuzione della rata annua del sussidio rischierebbe di non coprire più le rate dei mutui accesi per realizzare gli investimenti, aprendo due prospettive per le banche: accollarsi nuove sofferenze o, attraverso interminabili trattative, rinegoziare o rinunciare a parte dei crediti; e questo, con stress test e requisiti di Basilea in ballo, diventa un problema non da poco, tanto che se ne è trattato a lungo nell’esecutivo dell’Abi di fine maggio.

Per venire incontro alle imprese troppo indebitate, il Governo ha pensato di permettere finanziamenti garantiti dalla Cassa Depositi, in alternativa, quelle più patrimonializzate potrebbero optare per un taglio dell’incentivo al momento stimato all’8%. Sarà sufficiente a tacitare gli investitori (leggi speculatori), soprattutto esteri?

I ritorni dell’operazione (in gergo tecnico Roe, return on equity), fino al 2012 si aggiravano intorno al 15%, di certo assai più d’un sussidio, ora, a seguito degli interventi, si hanno pareri contrastanti: per le aziende del fotovoltaico non si andrebbe oltre il 5/6%, mentre secondo il Ministero, per la maggior parte delle società toccate dal decreto spalma incentivi, la forbice andrebbe dall’8 al 12%, e scusate se è poco.

Ancora una notazione: secondo la vulgata comune, la contrazione dei sussidi alle fonti rinnovabili è dovuta alla lobby dei produttori elettrici fossili, invece che a un ovvio ridimensionamento di contributi francamente esorbitanti e insostenibili, che non hanno pari in Europa e che hanno stimolato soprattutto speculazioni; tuttavia anche il comparto tradizionale dell’energia (quello “fossile” per intenderci) è tutt’altro che estraneo ai sussidi, dato che nella nostra Italia a nessuna lobby, purché potente, si rifiuta nulla (e accidenti se quella di cui parliamo lo è!).

Ciò malgrado, di un riordino del settore se ne dovrebbe parlare in concreto a breve, a cominciare dalla revisione di quell’assurdo del “capacity payment”, un contributo riconosciuto a chi ha impianti che, alla bisogna, “potrebbero” produrre energia: al momento si parla di 150 ml all’anno, ma Assoelettrica (l’associazione dei produttori) ne vorrebbe addirittura la bazzecola di 600. Nel frattempo il Governo, nella tagliola del bisogno di far economie, ha già tagliato 40 ml di contributi annui garantiti all’Enel solo per mantenere 4 centrali ad olio combustibile, e 130 ml per la cosiddetta “interrompibilità”, uno sconto per chi accetta di farsi interrompere la fornitura in taluni casi d’emergenza, evento peraltro quasi mai accaduto.

Per concludere, in Italia il costo dell’energia è esorbitante perché per anni e anni è stato permesso che tutti ne facessero una speculazione alle spalle di chi paga la bolletta. Ripetiamo che è di estrema importanza un sistema di sussidi allo sviluppo delle tecnologie e degli investimenti dedicati alle fonti rinnovabili, ma da questo a farne un business ammantato di rispettabilità per speculatori nostrani e stranieri, oltre che per le banche, ce ne corre.

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