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Rivoluzione Islamica: i ricordi della signora Marzie Hadidci

Per chi ha familiarità con la storia della Rivoluzione Islamica dell’Iran, il nome della signora Dabbaq è sinonimo di fede, valore, resistenza, coraggio, sacrificio e rivoluzione. La signora Dabbaq iniziò le sue attività politiche contro la dinastia Pahlavi al fianco di grandi personalità tra i martiri della Rivoluzione, come l’Ayatullah Sa’idi (1) e l’Ayatullah Rabbani Shirazi (2). Passò anni della sua vita nelle celle di isolamento delle lugubri carceri del regime dispotico. Sopportò molte torture psicologiche e fisiche. Di fronte ai suoi occhi torturarono la piccola figlia, ma tutto questo non la portò a dubitare neanche per un solo istante della sacralità del suo obiettivo. La sua situazione diventò tale che dovette abbandonare il proprio paese per non essere uccisa dagli agenti del regime monarchico, lasciando al suo sposo la cura dei loro otto figli. Fu al fianco del martire Mostafa Chamran, in Libano, dove apprese le strategie militari e di guerriglia, prima di essere al fianco dell’Imam Khomeyni durante il suo esilio in Francia. Fu lei a dare per prima la notizia della fuga dello Shah dall’Iran all’Imam. Dopo la Rivoluzione Islamica fu la responsabile femminile dell’Esercito dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (Sepah Pasdaran) della regione di Hamedan e fu uno dei tre membri della delegazione che consegnò la lettera dell’Imam Khomeyni a Gorbaciovnel 1988, insieme all’Ayatullah Javadi Amoli e Jawad Larijani. E’ stata inoltre rappresentante all’Assemblea Consultiva Islamica (Majles) per tre mandati.

Di seguito alcuni suoi ricordi.

Dentro il carcere, gli ufficiali, che erano irritati per la nostra pazienza e sopportazione, una notte vennero e selvaggiamente strapparono la mia piccola figlia Rezvane dalle mie braccia. Le mie grida ed urla non ebbero alcun effetto. Disperata ed inquieta mi muovevo in questa cella di 1 x 1, 5 m, e ogni tanto guardavo verso il corridoio mediante una piccola fessura che vi era nella porta. Le grida ed i pianti strazianti della mia piccola non cessavano. Neanche il silenzio della notte faceva giungere le grida in qualche luogo. Improvvisamente tutti i rumori cessarono. Dio mio, cos’è accaduto? Il timore riempì tutto il mio essere. L’incertezza non mi permetteva di respirare. Ascoltavo i battiti del mio cuore. Dio mio, cos’è accaduto? Cosa hanno fatto a Rezvane?

Alle quattro del mattino, mentre al pari di un uccello al quale hanno strappalo le ali mi battevo contro le pareti della cella, ascoltai il rumore della porta che si apriva e mi lanciai verso l’esterno. Dio mio! Cosa vedevo! Questa era Rezvana, che con il suo corpicino insanguinato gli agenti trascinavano al suolo portandola verso di me. Questo pezzo di carne gettato al suolo è la mia Rezvana, è la mia anima, parte di me?

Alle sette del mattino vennero, la misero dentro una coperta e la portarono via. Pensavo l’avessero uccisa, e ciò mi rendeva disperata. Colpivo la porta e gridavo: “Portate anche a me, voglio andare insieme a mia figlia, che cosa avete fatto con lei? Assassini, criminali!”. D’un tratto, in quegli stessi istanti, il melodioso suono della lettura del Corano mi lasciò incantata: Wastainû bis-sabri was-salât wa innahâ la kabîratun illa alal khâshiîn – “Cerca aiuto nella pazienza e nella preghiera! In verità essa è gravosa, ma non per gli umili” (2: 45). Era come acqua fredda sopra questo corpo ardente. Con che bellezza erano recitati i versetti del Corano. Era come se Dio stesso mi parlasse e mi invitasse alla pazienza ed alla preghiera. Mi sedetti al suolo e tornai in me, e solo allora mi resi conto di tutto ciò che era accaduto la notte precedente. La voce era quella dell’Ayatullah Rabbani Shirazi, che mi consolava compassionevolmente. La sua cella non era molto distante dalla mia ed era stato testimone di tutto ciò che io avevo vissuto.

Trovandosi fuori dell’Iran, i fratelli rivoluzionari giunsero alla conclusione di inviare un rappresentante a Najaf per visitare l’Imam (Khomeyni, n.d.t.) e spiegargli la situazione delle attività del gruppo rivoluzionario, i problemi economici, ecc. Con questo fine scelsero il sig. Damavandi e me.

Partimmo verso l’Iraq. Questa opportunità era un sogno per me, giacchè potevo visitare da vicino la mia Guida. Finalmente mi trovai di fronte alla luce, senza sapere come iniziare a parlare. Dopo aver scambiato i saluti, gli dissi:

– Sono Dabbaq.

– Chiese: La stessa Dabbaq che l’Ayatullah Sa’idi menziona nelle sue lettere?

– Risposi: Si. Per un periodo fui sua studentessa e lavorai con lui.

Poi gli presentai un breve resoconto di quanto accaduto in Iran rispetto alle attività ed alla situazione del gruppo rivoluzionario. L’Imam, con tutta tranquillità, ascoltò le mie parole e poi mi disse: “Raccontami del carcere”. Fu così che gli narrai tutto il processo della mia detenzione, l’interrogatorio, il carcere e le torture inflitte a me e mia figlia, così come la situazione degli altri detenuti nella prigione di Qasr, e alla fine gli dissi: “Adesso sono qui ed i miei otto figli lì. Non so cosa fare. Se torno temo di essere nuovamente arrestata, e se non ritorno, i miei otto figli cosa faranno senza madre? Non so cosa devo fare.” In queste circostanze fu incredibile la predizione dell’Imam, che mi disse: “Rimani qui. A Iddio piacendo la situazione cambierà e ritorneremo tutti insieme.”

Era forse possibile? Sebbene in quel momento mi sorgessero mille interrogativi intorno a quella frase, per la fede che avevo nell’Imam credetti alle sue parole ed aspettai.

Prima di ritornare nella mia abitazione, gli chiesi:

– Allora voi mi permettete di andare in Libano e lottare insieme ai nostri fratelli e sorelle palestinesi finchè la situazione in Iran non cambierà?

– Disse: “Devi operare in qualsiasi luogo che ritieni sia nell’interesse dell’Islam. Questo è un dovere”.

Nei quattro mesi durante i quali l’Imam Khomeyni rimase in Francia, la signora Dabbaq visse nella casa dell’Imam, al servizio della Rivoluzione. Di questi giorni racconta:

Tra i vari lavori che svolgevo durante i primi giorni del mio ingresso nella casa dell’Imam a Neauphle-le-Chateau, mi occupavo dell’apertura delle lettere che giungevano da differenti parti del mondo per l’Imam. Parte del suo tempo l’Imam lo dedicava a leggere queste lettere, rispondendo ad alcune di esse personalmente. Tenendo in conto la grande quantità di lettere e pacchetti che riceveva, c’era la possibilità di qualche pericolo. Temevo che potessero attentare alla sua vita attraverso questa via, e così aprivo io le buste nella cucina utilizzando un metodo che avevo appreso, e poi mettevo le lettere a sua disposizione.

Un giorno l’Imam entrò in cucina, mi vide aprire le lettere e disse:

– Sorella Marzie! Non sono d’accordo che sia tu ad occuparti di questo.

All’inizio non avevo capito la sua intenzione. Pensavo non volesse che io leggessi le sue lettere, e per questo gli dissi:

–  Agha (signore)! Per Dio, non le leggo! Le apro soltanto per questioni di sicurezza.

 L’Imam disse:

– Non lo dico per questo, ma perchè se è pericoloso per me allora lo è anche per te. Perchè devi esporti al pericolo?

Dissi:

– C’è una comunità ed un popolo che ti aspettano.

Egli disse:

– Tu hai otto figli che ti aspettano!

Gli spiegai:

– Mi sono specializzata al riguardo, per questo sono meno esposta al pericolo.

Disse l’Imam:

– Allora vieni e insegnalo anche a me.

Questo comportamento dell’Imam verso le persone rivelava un tipo di solidarietà ed era una dimostrazione del fatto che mai vedeva differenze tra se stesso e gli altri, considerandosi allo stesso livello della gente e non superiore ad essi. Valorizzava la vita degli altri allo stesso modo in cui uno valorizza la prova.

Non potevo credere che dopo tre anni e sette mesi passavo nuovamente il sacro territorio dell’Iran e che un’altra volta i miei occhi si sarebbero illuminati nel vedere i miei figli. Quando passai le strade di Teheran trovai davanti uno scenario incredibile. I simboli della Rivoluzione e dell’epopea si vedevano da tutte le parti. Prima immaginavo le vie di Teheran piene di tanks, trincee e armamenti bellici, ma ora vedevo un’altra cosa. L’allegria ed il fervore coprivano tutto e i fiori adornavano le punte delle armi.

NOTE

1) Il Martire Ayatullah Sa’idi è stato uno dei grandi sapienti rivoluzionari, martirizzato nel 1970 dagli agenti della Savak nel purtroppo tristemente celebre carcere di Qazal. Detenuto per essersi opposto alla visita in Iran di una delegazione di grandi investitori statunitensi guidati da Rockefeller il 10 giugno 1970, raggiunse il martirio dopo indicibili torture. La celebre frase “Uccidetemi! Giuro su Dio che se mi uccidete, ogni goccia del mio sangue griderà: Khomeyni!”, appartiene a lui.

2) L’Ayatullah Rabbani Shirazi fu un’eminente studioso religioso, esperto in particolare nella scienza di ahadith. Studente dell’Ayatullah Burujerdi e dell’Imam Khomeyni, aveva sostenuto sin dagli inizi il movimento rivoluzionario guidato da quest’ultimo. Rappresentante dell’Imam nella città di Shiraz, dopo esser scampato ad un attentato ordito dal gruppo terrorista “Monafeqin”, morì pochi mesi dopo in strane circostanze durante un incidente stradale.

di Redazione

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