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Iran e l’immaginario occidentale

Un recente articolo di Foreign Affairs sul futuro dell’Iran è un chiaro esempio del profondo divario tra il vero Iran e quello immaginario costruito nei think tank occidentali.

Per anni, la corrente dominante nella politica estera statunitense ha cercato di presentare un’analisi dell’Iran che si basasse meno sui dati, sulla storia, sulla società e sulle realtà sul campo e più su un quadro mentale preconcetto: l’Iran deve essere descritto come un Paese in crisi, al collasso e in una situazione di stallo permanente, perché qualsiasi analisi al di fuori di questo quadro sconvolgerebbe l’ordine mentale della politica estera statunitense.

Questo recente articolo intitolato “L’autunno degli Ayatollah” segue la stessa mentalità. Sembra che la narrazione sia stata scritta per prima, e solo in seguito vi siano stati forzati eventi sparsi, affermazioni e confronti selettivi. La sua previsione futura è più un auspicio geopolitico che un’analisi scientifica. Ma l’Iran non può essere spiegato attraverso semplici analogie e cliché. È una società viva, dinamica, complessa e storica, per la quale la narrazione esterna non può essere ridotta a modelli precostituiti.

In un simile contesto, è essenziale confrontare il vero Iran con quello immaginato per comprendere perché analisi di questo tipo distorcono la realtà e perché le loro conclusioni riflettono desideri politici piuttosto che una comprensione accurata del Paese.

Dall’esagerazione alla semplificazione eccessiva

Gran parte del quadro presentato nell’articolo di Foreign Affairs si basa sull’ingigantimento delle crisi iraniane e sulla minimizzazione dei suoi punti di forza. La complessità sociale, la profondità dell’esperienza nazionale, la resilienza storica e le capacità strutturali vengono ignorate. Invece, alcuni esempi selezionati vengono amplificati e trasformati in affermazioni generali.

In questa narrazione, l’Iran è ritratto come un Paese con una società profondamente diffidente, un governo sull’orlo della disintegrazione, un’economia in rovina senza via di ripresa, una struttura politica che si avvicina alla fine e un imminente collasso o una trasformazione forzata.

Ma nessuna di queste affermazioni – anche se in alcuni aspetti sono parzialmente vere – riflette un quadro completo dell’Iran odierno. L’Iran non si trova né in uno stato ideale né nella presunta condizione di essere “sull’orlo del collasso”. Il problema centrale è che l’autore chiude intenzionalmente ogni percorso analitico che potrebbe condurre a una comprensione diversa e più equilibrata.

Il vero Iran è, infatti, una società multistrato, diversificata, resiliente e adattabile. È uno stato-nazione con una storia millenaria ininterrotta. Possiede strutture di governance complesse, non semplicistiche o monocentriche. E detiene anche una posizione geopolitica radicata nella storia e nella realtà, non negli slogan.

L’analista americano sceglie di non vedere queste realtà, perché riconoscerle significherebbe smantellare l’intera architettura mentale costruita per “il futuro preferito dall’America in Iran”.

Uno degli aspetti più sconcertanti dell’articolo di Foreign Affairs è il suo tentativo di forzare il futuro dell’Iran in modelli completamente contraddittori: dalla Russia alla Cina, dalla Corea del Nord al Pakistan e persino alla Turchia. Questi paragoni rivelano involontariamente la principale debolezza della prospettiva dell’autore: l’Iran non è visto come una realtà storica e politica, ma come un progetto mentale che deve adattarsi a un qualche schema.

L’Iran non è un modello mentale da adattare

L’Iran non è la Russia. La Russia è un Paese di oligarchi; l’Iran non ha una classe economica simile.
La Russia è costruita sui resti dell’Unione Sovietica; l’Iran su millenni di stato. In Russia domina un partito unico; in Iran, le elezioni e il ricambio delle élite sono significativi.

L’Iran non è la Cina. La Cina ha beneficiato di decenni di sostegno degli Stati Uniti per contrastare l’URSS; l’Iran ha dovuto affrontare sanzioni, pressioni e una guerra economica per oltre quarant’anni. L’economia cinese è guidata dalle esportazioni; l’Iran è soggetto a restrizioni finanziarie e commerciali. La Cina ha una struttura comunista monocentrica; l’Iran è multistrato e multicentrico.

L’Iran non è la Corea del Nord. Paragonare l’Iran a un Paese isolato, governato da una famiglia e chiuso dimostra più una scarsa familiarità con la realtà che un’analisi. L’Iran ha una vasta rete universitaria, una società civile attiva, una vita urbana complessa, media, cultura digitale e connettività globale. La Corea del Nord soffre di carestia e isolamento; l’Iran è la seconda economia della regione.

L’Iran non è il Pakistan. Il Pakistan affronta numerose divisioni etnico-settarie; l’Iran ha una struttura identitaria coesa. Il Pakistan ha una lunga storia di colpi di Stato; l’Iran no. Non è la Turchia. Le dinamiche politiche della Turchia sono plasmate da un’eredità laica imposta da Atatürk; l’Iran non ha mai vissuto un’esperienza simile. Anche le storie geopolitiche e sociali delle due società sono completamente diverse.

In breve, tutti questi confronti dimostrano che l’autore cerca di adattare l’Iran a tutti i modelli disponibili, senza rendersi conto che l’Iran non corrisponde a nessuno di essi.

La realtà deve essere vista così com’è, non come alcuni vorrebbero che fosse

Il vero Iran è un Paese dalle grandi capacità, una società dinamica, una struttura complessa, sfide impegnative e punti di forza innegabili. L’Iran immaginario è la versione necessaria ad alcuni aspetti della politica estera statunitense per giustificare pressioni, sanzioni e strategie conflittuali: un Paese in crisi, instabile e al collasso. Queste due immagini sono mondi a parte.

Il vero Iran è un Paese che: non si è piegato alle pressioni esterne, ma si è adattato, ha sviluppato percorsi locali in un’economia colpita dalle sanzioni, possiede una società giovane e urbana che stimola l’attività sociale, culturale e tecnologica; ha una struttura politica troppo complessa per essere spiegata attraverso paragoni semplicistici e, soprattutto, plasma il suo futuro basandosi su dinamiche interne, non su articoli di think tank.

Un’analisi adeguata dell’Iran richiede una comprensione storica, sociale, culturale e politica, non la raccolta di affermazioni sparse per confermare ipotesi preesistenti. Narrazioni come quella dell’articolo di Foreign Affairs ci allontanano dalla realtà anziché avvicinarci ad essa. Il futuro del Paese sarà costruito sul vero Iran, non su scenari scritti dall’esterno.

Per comprendere l’Iran è necessario comprendere la sua storia, il suo popolo, la sua diversità sociale, la sua energia politica e culturale e la sua posizione geopolitica, non le immagini tratte dalla finestra della politica estera statunitense.

di Fatemeh Kavand

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