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In Croazia svanisce il “sogno” europeo

di Salvo Ardizzone

A un anno dall’ingresso nella Ue, a Zagabria la recessione continua, gli attesi investimenti dall’estero non arrivano e i ritardi strutturali rimangono quelli di sempre. Secondo l’Economist, la Croazia è una delle dieci peggiori economie al mondo, in compagnia di stati come la Libia, la Repubblica Centrafricana o l’Ucraina; il fatto è che non riesce ad affrontare i suoi problemi strutturali e ad arginare un declino economico che pare inarrestabile. Nel corso del 2014 dovrebbe finalmente frenare la sua caduta realizzando una crescita zero, ma nei cinque anni precedenti, quelli della crisi globale, ha perso il 13% del proprio già basso prodotto interno lordo, e la prospettiva degli analisti è di una lunga stagnazione. A peggiorare il quadro, gli attesi investimenti dall’estero, che tanto avevano spinto sulla decisione di aderire alla Ue, sono invece progressivamente diminuiti man mano che il Paese s’avvicinava all’adesione, fino a giungere ora ai livelli degli anni ’90, all’indomani della guerra.

In questo quadro desolante, la disoccupazione nel gennaio scorso era al 22%, e, su una popolazione di 4,4 ml di abitanti, solo un quarto ha un lavoro regolare, a fronte di un milione di pensionati. Ma il Governo, preso ormai nella stretta delle ottuse procedure di Bruxelles, non ha praticamente margini per affrontare le difficoltà: il debito pubblico, che un anno fa era il 59,6% del Pil, ora è al 64,7%, ed ha indotto i guardiani dell’ortodossia economica a iniziare una procedura d’infrazione per deficit eccessivo. La Croazia ha risposto con un pacchetto di tagli e aumenti tariffari che dovrebbero, sia pur marginalmente, ridurre il disavanzo, ma a un prezzo doloroso che rende praticamente impossibile disporre di risorse da destinare a quegli investimenti più che mai necessari a rinnovare l’economia e stimolare la crescita. Da molto tempo Zagabria è impegnata a riformare una pubblica amministrazione ereditata dai tempi della Jugoslavia, troppo grande per una popolazione così piccola, ma i tagli, non bilanciati da opportunità di altro lavoro, aggravano il disagio della gente. Così la cura di austerità prescritta dai soliti soloni europei, come al solito, ha ottenuto l’effetto opposto, indebolendo ancora di più il Paese, come affermano Standard & Poor’s e Moody’s, che hanno rivisto il rating del suo debito al ribasso.

Unica luce è la prospettiva di ritrovamenti di idrocarburi nell’Adriatico, ma ci vorrà tempo per mettere i giacimenti in produzione e superare molti ostacoli, e nel frattempo c’è ben poco da sorridere. Un quadro così fosco evoca almeno due spettri: il primo è quello di un default; Zagabria dispone di una liquidità sempre più risicata, il settore privato è in sofferenza e il Governo è costretto a emettere nuovi bond, ma, secondo Damir Odak, vicegovernatore della Banca Centrale, malgrado le difficoltà e l’aumento di crediti non performanti (che tradotto significa che difficilmente rientreranno), al momento il sistema bancario tiene e la soglia critica non è stata raggiunta.

Il secondo spettro è per certi versi più pericoloso: l’economia stagnante e la disoccupazione crescente avvelenano la nazione, che è scossa da una ventata d’intolleranza verso chiunque sia diverso; è questo il pensiero del Presidente Ivo Josipovic. È ovvio che a distanza d’un solo anno non è serio fare un bilancio dei risultati dell’adesione alla Ue, ma i Croati si scoprono più poveri e meno sicuri del proprio futuro e istintivamente cercano qualcuno da incolpare; e di colpe il Governo di Zoram Milanovic, che in questi anni non ha saputo dare alcuna risposta alla crisi, ne ha tante. Di questa disillusione si approfittano movimenti populisti e nazionalisti, che senza dare alcuna ricetta sensata, cavalcano la rabbia di settori della società.

In fondo è un quadro che abbiamo visto anche troppo spesso: Nazioni aderiscono alla Ue cercando un progetto di crescita, un’area di cooperazione, e trovano una cinica logica burocratica che parla solo di regole ottuse e vincoli, fatti per la convenienza di pochi altri. È incredibile che dopo tanti anni di crisi e tanti fallimenti di politiche assurde quanto ottuse, tagliate a misura sul tornaconto d’un cinico centro di potere egemone (leggi Germania e i suoi scudieri), non si sia ancora detto basta a questo modo d’intendere l’Europa.

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