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Il piano d’investimenti di Juncker gela l’Europa

di Salvo Ardizzone

La scorsa estate, Juncker s’era assicurato l’appoggio del gruppo socialdemocratico a Bruxelles, fra l’altro, promettendo solennemente un maxi piano d’investimenti da 300 Mld che rilanciasse le boccheggianti economie europee. Renzi l’aveva venduta come una sua vittoria e tutti a battere le mani, anche se erano in molti a mostrarsi scettici sul come si sarebbero trovate quelle somme, visto che già la Germania – al solito – aveva serrato i cordoni della borsa.

Dopo averne tanto parlato, martedì 25, la Commissione ha approvato il piano che Juncker ha presentato come il toccasana, e i sorrisi di molti si sono gelati, per primo quello del nostro ministro dell’Economia Padoan, che s’è mostrato subito tutt’altro che entusiasta.

È successo che dei tanto vantati 300 Mld, anzi, 315 per l’esattezza, la Ue ne metterebbe in campo solo 21 tramite un Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis); per dirla tutta, 5 li metterebbe la Bei (Banca Europea Investimenti), 8 proverrebbero da altri programmi (che verrebbero così ridimensionati), 6 non ci sono ancora e dovrebbero essere individuati in seguito (!) e 2 (2!) costituirebbero il nuovo denaro fresco investito per l’operazione. E il resto per arrivare ai 315?!

Questo è il meglio: semplificando al massimo, i 21 Mld (ripetiamo, ancora da trovare) servirebbero per emettere obbligazioni per 60; il resto verrebbe dai “poderosi” investimenti che i privati, in questo momento di crisi nera, dovrebbero correre a fare. In termini finanziari si chiama “leva”, ma da 1 a 15 sarebbe ancora comprensibile per attività speculative con ritorni rapidi e assai remunerati, è ridicolo immaginarla per il libro dei sogni tracciato da un Juncker compiaciuto: istruzione, ricerca, trasporti, innovazione e così via; ve l’immaginate un grande investitore internazionale che mette i suoi soldi per costruire scuole? 

Compiaciuto certo lo era, ma per aver giocato a costo zero quelli che speravano in un cambio di rotta delle politiche economiche dell’Unione, il nostro Premier in testa, che rompesse con l’asfissiante cappa imposta dalla Germania per quelli che ritiene i suoi interessi (per la cronaca: Berlino ha già fatto sapere che per il momento non è interessata a partecipare al Fondo: sfido!). E per chiudere la bocca a chi volesse protestare, Juncker ha lasciato intendere che gli Stati membri, se lo desiderano, possono anche rimpinguare i fondi ridicoli del Feis, senza che quei soldi incidano sul Patto di Stabilità (insomma, come chiesto più volte anche dall’Italia, per Bruxelles quegli investimenti non sarebbero conteggiati in deficit) ma con due colossali polpette avvelenate.

Quei soldi saranno assegnati a progetti presentati dagli Stati membri, ma non sono stati divulgati né i criteri di ripartizione fra gli Stati, né tantomeno i criteri di valutazione dei progetti e chi sarà incaricato della scelta. A farla breve, chi ci mette i soldi, non solo non ha nessuna garanzia di vedersi approvati i progetti, ma neppure che vengano investiti nel proprio Paese. Così l’Italia, che aveva già avanzato stratosferiche richieste per 87 Mld, spacciate da Renzi come il fiume di denaro che avrebbe dato il via alla nostra rinascita, ha buone possibilità di rimanere comunque con un pugno di mosche, anche se questo piano mirabolante quanto improbabile, riuscisse anche in parte ad attuarsi. 

E che ci sia il rischio, anzi, la seria probabilità che finisca tutto in una ridicola bolla di sapone, come già accaduto ad un progetto analogo del precedente presidente Barroso, è chiaro a tutti; lo si registra dalle gelide reazioni dei ministri degli Stati membri interessati ad un serio programma d’investimenti (quelli dell’area mediterranea, Francia in testa).

Una doccia fredda per Renzi, che s’era vantato in lungo e in largo d’aver cambiato la politica rigorista dell’Unione, e aver barattato con gran vantaggio il suo appoggio all’elezione di Juncker a Presidente (secondo lui a quel tempo determinante) col piano che ora si manifesta per una presa in giro da magliari. Ancora e sempre, l’imbarazzante inadeguatezza del nostro Premier finirà per scontarla tutto il Paese.   

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