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Il “democratico” Obama ignora il No del suo popolo alla guerra in Siria

di Federico Cenci

Oltreoceano non tutti scalpitano in attesa che il grilletto americano venga premuto all’indirizzo della Siria. Anzi, la gran parte dei cittadini statunitensi è fermamente contraria a questa ipotesi. Lo rivela un sondaggio Ipsos pubblicato dall’agenzia Reuters, secondo il quale il 56% degli intervistati ritiene che gli Stati Uniti non dovrebbero intervenire in Siria, mentre solo il 19% sostiene la linea interventista del presidente Obama. Il 25%, invece, si è detto indeciso rispetto alla questione. Il numero dei sostenitori dell’intervento lieviterebbe sensibilmente (29%) laddove venisse dimostrato in modo inoppugnabile l’uso di gas sarin da parte delle truppe governative di Assad, ma rimarrebbe comunque più basso rispetto a quello dei contrari (48%).

Quest’insofferenza diffusa oltreoceano nei confronti dell’azione militare è l’effetto di più di dieci anni di guerra tra l’Afghanistan e l’Iraq, luoghi forieri di morte e disperazione per migliaia di soldati e per le loro famiglie. Oggi l’idea che la patria americana sia lo “sceriffo dell’umanità” non raccoglie più i consensi dell’era Bush. Utile in tal senso rilevare che il 49% degli americani disapprova la strategia presidenziale di armare i “ribelli” siriani, contro un 29% di favorevoli. Appare dunque palese il malcontento del popolo americano rispetto a una linea di politica estera caratterizzata dall’ingerenza negli affari di altri Stati. Il 65% degli intervistati dalla Ipsos crede che Obama dovrebbe occuparsi delle problematiche di politica interna, piuttosto che bombardare la Siria.

La fotografia del dissenso americano al coinvolgimento bellico in Siria rispecchia da vicino l’opinione pubblica in Gran Bretagna, dove il Parlamento ha bocciato una mozione, presentata dal premier Cameron, per sostenere l’azione militare al fianco degli Stati Uniti. Tra pochi giorni il Congresso americano dovrà esprimersi (in maniera non vincolante) sullo stesso tema e il rischio, per Obama, è che possa accadere una situazione fotocopia di quanto avvenuto, presso Westminster, al suo storico alleato britannico.

Secondo l’Huffington Post, infatti, solo il 41% dei membri del Congresso avrebbe manifestato il proprio appoggio al conflitto. Il numero degli indecisi sarebbe di 175, a fronte di un’asticella del successo della mozione fissata a 217. Proprio lo stesso numero di coloro i quali, ad oggi, voterebbero contro l’azione bellica. Cifre che dimostrano che l’esito del voto dei prossimi giorni è tutt’altro che scontato. La riluttanza popolare nei confronti del conflitto è evidentemente penetrata anche all’interno delle istituzioni.

Un interprete politico di questo sentimento anti-bellico è il senatore repubblicano Ron Paul, già noto per le sue posizioni contro l’interventismo americano e contro l’alta finanza. L’ex candidato alle presidenziali Usa ha definito «sconsiderato e immorale» l’uso delle forze armate statunitensi per attaccare la Siria, giacché si tratta di uno scenario geopolitico che non intacca la sicurezza dei cittadini americani. Egli ritiene che «se gli interessi americani sono in gioco, allora spetta a coloro che sostengono l’azione bellica convincere il Congresso e il popolo americano di tale minaccia». «Troppo spesso – prosegue Ron Paul – il dibattito inizia e finisce con l’affermazione che il nostro interesse nazionale è in gioco senza alcuna prova di tale affermazione».

Ron Paul, che ha messo l’accento sul peso enorme che un’altra guerra rappresenterebbe per l’economia degli Stati Uniti, ha inoltre posto una serie di domande mirate a denunciare l’ipocrisia di chi ammanta la guerra in Siria di propositi umanitari: «Ma perché poche centinaia di vittime da attacchi chimici sono peggiori o più meritevoli dell’uso di bombe statunitensi rispetto alle 100 mila vittime già uccise nel conflitto? Perché queste poche centinaia di vittime presumibilmente uccise da Assad contano più dei circa mille cristiani uccisi in Siria dagli alleati degli Stati Uniti? Perché è peggio essere uccisi dai gas velenosi che avere la testa mozzata dagli islamisti radicali alleati degli americani, come è successo a un certo numero di sacerdoti e vescovi cristiani in Siria? Del resto, perché le poche centinaia di civili uccisi in Siria da una sostanza chimica sono peggiori dei 2-3 mila che sono stati uccisi dagli attacchi dei droni di Obama in Pakistan? Davvero fa differenza se un civile viene ucciso da un gas velenoso, dai missili di un drone o da una coltellata?».

Domande, quelle enunciate da Ron Paul, che sferzano le coscienze di chi vuole, sconsideratamente, iniziare una nuova, sanguinosa avventura bellica targata Usa. Uguale obiettivo si pone l’accorato appello inviato a tutti i membri del Congresso da parte di Jihad al-Laham, portavoce del Parlamento siriano. «Vi invitiamo a venire in Siria per capire la situazione prima di effettuare questo “taglio”, perché il vestito che taglierete è fatto di carne umana», scrive Laham, nella speranza di convincere più politici americani possibili circa il dramma che l’intervento in Siria potrebbe ulteriormente scatenare.

Al contrario, il portavoce siriano indica la strada del dialogo quale unica soluzione percorribile per risolvere la crisi del suo Paese. Chissà se il Congresso dimostrerà di pensarla allo stesso modo. Soprattutto, nel qual caso, chissà se il “democratico” Obama avrà intenzione di darvi ascolto. Quest’ultima domanda appare, tuttavia, tristemente retorica.

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