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Human Right Watch: l’Onu deve inserire Israele nella “Lista della Vergogna”

di Manuela Comito

Human Rights Watch ha esortato le Nazioni Unite a inserire Israele nella “List of Shame” (Lista della Vergogna) per le palesi violazioni dei diritti umani nei confronti dei civili e soprattutto dei bambini palestinesi. L’organizzazione ha chiesto al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon di resistere alle pressioni da parte dei governi di Tel Aviv e Washington e di rendere giustizia ai 577 bambini palestinesi morti e ai 3300 feriti durante l’ultima offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza tra luglio e agosto 2014. La “Lista della Vergogna” sarà resa nota la prossima settimana.

Philippe Bolopion, responsabile di Hrw, ha ricordato al segretario generale delle Nazioni Unite che la lista deve essere stilata “sulla base dei fatti, non per le pressioni politiche” se si vogliono davvero tutelare i bambini, prime vittime innocenti nei conflitti. Dal 2005 con la “Lista della vergogna”, le Nazioni Unite hanno monitorato 23 conflitti e situazioni di tensione come quella tra Israele e Palestina, e hanno documentato le gravi violazioni dei diritti umani soprattutto sui minori. Sei sono le violazioni di riferimento che comportano l’inclusione nella lista: uccisione e mutilazione di bambini, rapimenti, violenza sessuale, attacchi contro scuole e ospedali, negazione dell’accesso umanitario e reclutamento di bambini-soldato.

Come ha scritto il giornalista inglese Jonathan Cook su Middle Est Eye il 5 maggio: “Anche se l’esercito israeliano non è ancora stato inserito nella lista, è stato comunque criticato per le gravi violazioni contro i bambini palestinesi, tra le quali: azioni che hanno provocato morti e feriti, arresti notturni, trattamento crudele e degradante durante gli interrogatori, minacce di violenza sessuale, trasferimento nelle prigioni israeliane in palese violazione della Convenzione di Ginevra, attacchi contro le scuole, negazione ai pazienti di Gaza del trattamento ospedaliero necessario”. Tutte queste palesi violazioni sono monitorate ampiamente e dettagliatamente documentate dal 2007 dall’Unicef.

Eppure, fino a quest’anno non solo Israele non è mai stato incluso nella lista, ma non era neanche in discussione un possibile inserimento. Il Palestinian Human Rights Organisations Council, un gruppo di 12 associazioni palestinesi con sede a Gerusalemme, ha inviato una lettera a Ban ki-moon a febbraio, chiedendogli di mostrarsi “imparziale” e di includere Israele nella lista: “I ripetuti attacchi militari israeliani, la prolungata occupazione militare e la violenza ricorrente, uniti al completo disprezzo per il diritto internazionale hanno vanificato ogni sforzo significativo volto alla protezione e alla tutela del bambini che vivono sotto occupazione”.

Anche se si sta discutendo dell’inclusione di Israele nella List of Shame solo in seguito alle stragi perpetrate durante “Protective Edge”, secondo Issam Yunis, direttore di Al-Mezan, un gruppo per i diritti umani a Gaza, il regime di Tel Aviv avrebbe dovuto da tempo essere incluso, per l’assedio illegale che impone agli abitanti della Striscia e costituisce esso stesso una grave violazione. “Qualora Israele venisse inserito nella lista quest’anno” ha dichiarato Yunis, “occorre che vi rimanga fino alla fine di ogni violazione”.

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