Guerra e business, la vittoria dell’industria bellica
Dopo la guerra in Ucraina, momentaneamente finita nel dimenticatoio, ecco scoppiare la guerra di Israele che ha scatenato tutta la sua rabbia verso la Striscia di Gaza. Una vendetta, più che un’azione mirata, contro l’assalto di Hamas avvenuto il 7 Ottobre scorso.
Una pioggia di fuoco che non accenna ad arrestarsi, in barba al diritto internazionale e alle richieste delle Nazioni Unite. “È il tempo della guerra, se ne facciano una ragione”, ha affermato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
Industria bellica non conosce crisi
A lanciare l’allarme è il presidente della Banca Mondiale, Ajay Banga. “La fase è molto pericolosa. La guerra tra Israele e Hamas potrebbe infliggere il colpo mortale allo sviluppo economico globale. Il conflitto nel Medio Oriente andrebbe ad impattare su una situazione precaria, già provata dalla guerra in Ucraina”, ha affermato Banga.
Inflazione, blocchi commerciali, tensioni geopolitiche, strette sui commerci con conseguente aumento del prezzo di queste merci. Un problema già conosciuto dall’Europa quando il prezzo del gas arrivò alle stelle, così come i rincari della corrente elettrica. Le sanzioni, che avrebbero dovuto danneggiare la Russia si sono rivelate un boomerang, dato che l’Unione Europea è stata costretta ad approvvigionare le materie prime tra il Nord Africa e Medio Oriente, oltre che gli Stati Uniti. Crisi energetica, inflazione, recessione, questa è la spirale che preoccupa le cancellerie europee, tanto che a Bruxelles hanno già messo le mani avanti: “Esiste la concreta possibilità di un aumento del prezzo del gas”.
Per la guerra le risorse sono infinite
Se l’economia mondiale non è finita a gambe all’aria, per il momento, è perché i governi stanno iniettando risorse considerevoli nell’industria bellica. Il 2022 è stato l’anno d’oro per queste industrie, con una spesa globale che tocca i 2.240 miliardi di dollari. Pochi giorni fa, Biden ha chiesto al Congresso degli Stati Uniti ben 105 miliardi di dollari per continuare a finanziare militarmente l’Ucraina (70 miliardi), Israele (14miliardi, Taiwan (7 miliardi) e il resto per blindare i confini con il Messico.
La domanda mondiale, come abbiamo visto, è tenuta in piedi dalla “causa antagonista” per dirla come Marx, ossia dagli enormi investimenti nella spesa militare. Tra il 2010 e il 2020, ben prima della guerra in Ucraina, l’industria bellica aveva fatturato 5mila miliardi di dollari e di questi, 3mila miliardi nel solo comparto militare americano.
di Sebastiano Lo Monaco