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Gran Bretagna: vittoria di Cameron, trionfo dello Scottish National Party e debacle di Farage

di Salvo Ardizzone

Smentendo tutte le previsioni e i sondaggi, David Cameron ha vinto nelle elezioni inglesi assicurando ai conservatori la maggioranza assoluta con 331 seggi su 650; alla vigilia neanche lui ci sperava, tanto che aveva cancellato la festa della notte elettorale. Adesso può fare da solo, senza gli alleati liberaldemocratici di Nick Clegg, usciti massacrati dalle elezioni che li hanno visti perdere 49 seggi su 57.

Per i laburisti di Ed Miliband è stata una disfatta: penalizzati da una campagna elettorale contraddittoria, che li ha visti spazzati via dalle tradizionali roccaforti scozzesi, hanno raccolto solo 232 seggi. Peggio hanno fatto i populisti di Nigel Farage, che dopo aver annunciato sfracelli hanno finito per totalizzare un solo seggio.

La trionfatrice, questa volta annunciata, è stata Nicola Sturgeon, a capo dello Scottish National Party e del Governo della Scozia, che ha conquistato 56 dei 59 seggi in palio in quella Piccola Patria.

Clegg, Miliband e Farage hanno annunciato le loro dimissioni, pagando proposte politiche inconsistenti i primi e ottusamente velleitarie l’ultimo.

Cameron ha già incontrato la Regina per comunicarle ufficialmente l’esito delle votazioni e la formazione di un nuovo Governo; dinanzi al numero 10 di Downing Street ha dichiarato che manterrà fede alle promesse di indire un referendum sulla permanenza nella Ue di potenziare la devolution scozzese.

Già, la Scozia: con la vittoria plebiscitaria ottenuta dallo Scottisch National Party, sarà la Sturgeon a guidare la vera opposizione al Governo, agitando la possibilità di un nuovo referendum sull’indipendenza se Cameron non si dovesse affrettare a mantenere le promesse di massima autonomia alla Scozia in tema di fisco, educazione e giustizia, fatte durante la campagna referendaria. Ma farlo sarà assai difficile per il Governo, che è già pressato da analoghe richieste dal Galles e dal Nord Irlanda, prodromo di uno sfaldamento della tradizionale struttura statale del Regno Unito.

Comunque sia, Cameron, che s’è giovato dell’inconsistenza delle proposte politiche degli avversari e della paura di un cambiamento in una fase ancora critica per l’Inghilterra, intende continuare la politica di totale adesione agli interessi Usa, contrapposizione a prescindere con Mosca e trattamento di assoluto favore alla City, che infatti ha festeggiato il suo successo.

Per i laburisti comincia una lunga traversata nel deserto durante la quale dovranno reinventarsi un programma e un leader credibili, mentre i liberaldemocratici, dopo cinque anni di governo inefficace, vengono consegnati alla completa irrilevanza.

Per l’Ukip una parola a parte: figlio dell’egoismo e della paura di una classe piccolo borghese timorosa di perdere il benessere, è l’ennesimo frutto avvelenato, come tanti altri in Europa (vedi la Lega), che parla di odio, di chiusura, di negazione d’ogni diversità. Privo d’ogni retroterra culturale, sa fornire solo slogan beceri che additino un facile nemico a cui addebitare la responsabilità di un declino, che invece è quello del modello sociale che i suoi seguaci vorrebbero perpetuare all’infinito. È pura, sterile protesta.

La bruciante sconfitta che ha incassato, dimostra la sua incapacità d’interpretare la società e di saper dar voce solamente alle sacche di odio e di egoismo.

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