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Gli Usa rimettono i loro “stivali” in Somalia e… non solo

di Cristina Amoroso

Dopo venti anni l’esercito statunitense con una squadra ha timidamente rimesso piede nella capitale somala Mogadiscio, per la prima volta dal 1993, quando il paese era devastato dalla guerra e in una “missione di pace” furono abbattuti due elicotteri e uccisi 18 americani nel disastro “Black Hauk Down”.

La squadra, denominata Cella Mogadiscio Coordinamento, ha iniziato a muoversi in silenzio nel mese di ottobre ed è stata pienamente operativa entro la metà di dicembre. I consulenti lavoreranno con la missione dell’Unione africana in Somalia (Amison) per aiutare il piano militare somalo e coordinare le operazioni contro il gruppo militante di al Qaeda legata ad al Shabab.

“Gli Stati Uniti hanno istituito una cellula di coordinamento militare in Somalia per fornire supporto alla pianificazione e consulenza alla missione dell’Unione africana in Somalia (Amison) e le forze di sicurezza somale, per aumentare le loro capacità e  promuovere la pace e la sicurezza in tutta la Somalia e la regione”, ha riferito venerdì scorso in una dichiarazione  il colonnello Tom Davis, portavoce del Comando Usa per l’Africa.

L’implementazione, in precedenza riservata, inverte due decenni di politica americana che di fatto proibiva agli “stivali militari” di mettere piede nel paese africano, per paura di un nuovo disastro come quello del Black Hawk Down.

Ad Ottobre ricorre il 20° anniversario della battaglia Black Hawk Down tra una task force formata dai Rangers dell’esercito degli Stati Uniti e del commando della Delta Force, e combattenti fedeli al signore della guerra somalo Mohamed Farah Aidid.

Le forze militari statunitensi erano in Somalia per sostenere un’operazione umanitaria delle Nazioni Unite. Ma le pesanti perdite – e le immagini ossessionanti di americani morti  trascinati per le strade – indussero un rapido ritiro degli Stati Uniti e per anni scoraggiarono Washington a intervenire in altri conflitti.

Tuttavia, negli ultimi anni, l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama è stata nuovamente coinvolta in Somalia. Droni da una base Usa a Gibuti, paese del Corno d’ Africa, hanno effettuato numerose operazioni di spionaggio e attacchi aerei occasionali dai cieli della Somalia. Forze speciali americane hanno anche condotto raid e altre operazioni nel paese.

Nel gennaio 2013, gli Stati Uniti hanno riconosciuto ufficialmente un nuovo governo federale della Somalia, e vogliono ristabilire le relazioni diplomatiche per la prima volta da quando la struttura politica del paese è crollata nel 1991. Il Dipartimento di Stato non ha riaperto l’ambasciata a Mogadiscio, ma i diplomatici americani spesso fanno brevi viaggi nella capitale.

Le intenzioni di Washington di diventare più coinvolti militarmente in Somalia si sono  rivelate evidenti nell’estate del 2013, quando il generale David Rodriguez, il comandante delle forze Usa in Africa, ha visitato Mogadiscio. E non solo…

“Il Comando Africa degli Stati Uniti sta rapidamente per affrontare operazioni sul continente e continueranno a crescere le capacità militari delle nazioni partner” lo ha annunciato lo stesso generale Rodriguez nel corso di una tavola rotonda con i giornalisti venerdì 10 gennaio, manifestando il suo ottimismo nell’affrontare le sfide in Africa.

Il generale ha ribadito la strategia del Comando e ha detto che crede che stia aiutando gli africani per promuovere la pace e la sicurezza. “La nostra premessa fondamentale è che si tratta di africani che sono in grado di affrontare le sfide africane, e la nostra strategia si concentra sullo sviluppo delle forze militari delle nazioni partner” attraverso una grande varietà di programmi”.
“Riconosciamo inoltre l’integrazione regionale e internazionale crescente, una disponibilità dalle  nazioni africane e le organizzazioni africane – come l’Unione africana – di rispondere alle crisi in posti come la Libia, la Somalia, il Mali e ora nella Repubblica centrafricana” ha detto Rodriguez.

Di fronte a tale impegno degli Usa nel promuovere con l’esercito pace e sicurezza in Africa, ci chiediamo se il continente nero stia diventando il pivot della politica estera di Obama, in particolare il Corno d’Africa, e se “il contrasto alla pirateria” o la lotta contro il terrorismo di al-Shabab non rientrino nel quadro della “guerra coperta” condotta in Medio Oriente e in Africa dal comando congiunto per le operazioni speciali Usa.

Non a caso l’Italia nel momento di forte crisi economica ha dislocato forze militari a Gibuti, come hanno fatto Germania, Spagna e Giappone congiuntamente alla Task Force statunitense di stanza a Camp Lemonnier, la cui area di operazioni si estende dalla Somalia al Sudan e alla Repubblica centrafricana, dal Kenia all’Uganda e al Congo, coprendo anche lo Yemen e altri paesi mediorientali. Nuovi scenari di pace e sicurezza?


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