Gaza, quei proiettili che fanno saltare le gambe
Gaza – Il 14 maggio 1948 più di 760mila palestinesi – ora stimati in numero di quasi cinque milioni con i loro discendenti – furono cacciati dalle loro case perché costretti a dar spazio ad uno Stato nato per questioni geopolitiche. Da quell’anno, Israele ha sempre negato ai rifugiati palestinesi il diritto di ritorno alle proprie terre, nonostante le svariate risoluzioni delle Nazioni Unite.
Dopo 70 anni di occupazione i palestinesi continuano a chiedere a gran voce che gli sia riconosciuto il diritto al ritorno, ma, come spesso è successo, la risposta israeliana non è stata delle più pacifiche: oltre 10mila feriti e 105 morti il risultato della violenza delle forze israeliane e dei cecchini sparsi su tutto il confine della Striscia di Gaza.
Sui giornali occidentali è dall’inizio di queste proteste che si fa la conta delle vittime e dei feriti, senza che però nessuno faccia delle pressioni reali su Israele affinché questa escalation di violenza finisca. Ciò che ha definito gli avvenimenti di questa protesta sono anche i tanti mutilati tra i manifestanti, che a causa di singoli proiettili, ancora non resi noti di che tipo, si sono ritrovati a perdere gambe e aspirazioni. Qui riportiamo le testimonianze di tre ragazzi palestinesi.
Mohammad al-Ajouri è un adolescente che amava correre, vincitore di una medaglia per i 400 metri. Aspirante corridore che desiderava competere in gare all’estero, dopo un giorno di protesta, mentre si ritirava a casa, è stato colpito al polpaccio da un proiettile israeliano. Il proiettile ha lacerato la gamba destra ed è stata successivamente amputata. Ormai correre rimarrà solo un ricordo.
Anche Alaa al-Daly era un altro atleta. Un ciclista che si stava allenando per i Giochi asiatici di quest’anno. Anche lui era convinto di partecipare ad una manifestazione pacifica vicino Rafah, parte meridionale di Gaza. A un certo punto, dopo l’esplosione di un colpo, si è ritrovato ad assistere un dimostrante ferito. Poco dopo fu lui obiettivo dei cecchini israeliani che lo colpirono al ginocchio. Stesso destino per Alaa, gamba amputata e carriera da ciclista finita.
Triste che questi ragazzi, invece di sognare una carriera o un futuro, debbano aspirare a trovare una protesi per le loro gambe. Youssef, diciannove anni, è uno di loro. E’ stato colpito ad entrambe le gambe e ora sogna di andare in Germania o Turchia per trovare qualcosa che le possa sostituire. In Cisgiordania, pur avendo strutture decisamente migliori rispetto a quelle di Gaza, le protesi sono troppo costose per renderle accessibili a famiglie semplici come quella di Youssef.
Questi non sono casi isolati. In tutto sono almeno una ventina i ragazzi che hanno visto la perdita del proprio arto a causa di un singolo proiettile israeliano. Casi estremamente insoliti per trattarsi di semplici pallottole. Infatti Medici senza Frontiere, ha registrato “un estremo livello di destrutturazione sulle ossa e sui tessuti molli”. Marie-Elisabeth Ingres, capo missione di Msf in Palestina, ha ribadito che i proiettili usati hanno “letteralmente distrutto il tessuto dopo aver polverizzato l’osso”, aggiungendo che a molti dei feriti è stata procurata una “disabilità duratura”.
“La ferita d’ingresso è piccola. Quella d’uscita è devastante”, hanno dettagliato i medici palestinesi di Gaza, che riferiscono di non aver visto simili ferite dall’operazione Margine di protezione del 2014, quando Israele attaccò la Striscia. Situazione aggravata dal fatto che a Gaza gli amputati hanno poche opzioni di riabilitazione. A causa del blocco commerciale che da più di 10 anni affligge Gaza, c’è una mancanza sostanziale di materie prime e quindi difficoltà nella produzione di protesi, lasciandone senza chi ne ha bisogno.
Morte e sogni infranti
In Cisgiordania ci sono più possibilità di cure ma anche qui gli abitanti di questa striscia di terra si trovano le strade sbarrate dal regime israeliano, che spesso rifiuta i permessi di trasferimento dei gazawi negli ospedali della Cisgiordania occupata, lì dove potrebbero ricevere cure per salvare i loro arti.
L’Onu, e non solo, ha criticato l’uso “eccessivo della forza” da parte di Israele ma ancora nessuno ha spiegato come sia possibile che una sola pallottola possa arrecare così tanti danni, l’unica cosa che si sa è che dopo 70 anni di occupazione il popolo palestinese continua a cercare spazio nella propria terra e di nuovo, l’unica cosa che ha trovato, sono morte e sogni infranti.
di Irene Pastecchi