Funerale Nasrallah: dichiarazione globale contro l’oppressione

Il grande funerale che si è svolto a Beirut domenica 23 febbraio per l’ex segretario generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha confermato il seguito e lo spessore di questo uomo semplicemente unico.
I cittadini libanesi, sostenitori o critici del movimento di Resistenza, insieme ai suoi alleati nel mondo arabo e islamico, nel Sud del mondo e perfino nei Paesi occidentali, hanno assistito a un momento straordinario.
Il raduno di massa ha trasmesso un messaggio inequivocabile: lo spirito di coloro che resistono all’oppressione non sarà mai spezzato. Come ha osservato il New York Times, l’evento è stato “una dimostrazione di forza”.
In netto contrasto, il funerale del Mahatma Gandhi, pur attirando circa due milioni di persone, rappresentava solo circa lo 0,5 percento della popolazione indiana dell’epoca. Analogamente, il funerale di Stato di Papa Giovanni Paolo II vide circa quattro milioni di partecipanti, ovvero il 7 percento della popolazione italiana, mentre il memoriale del leader nazionalista arabo Gamal Abdel Nasser raccolse circa tre milioni di persone, anch’esso circa il 7 percento della popolazione egiziana.
I funerali dell’ex leader supremo iraniano Ruhollah Khomeini e del comandante della Forza Quds Qassem Soleimani hanno attirato folle ancora più grandi in termini assoluti (circa 7 milioni ciascuno), ma questi numeri rappresentano rispettivamente circa il 12,6% e il 7,7% della popolazione iraniana.
Un raduno globale di sfida
Dal Brasile e dall’Argentina all’Irlanda, all’India e alla Nigeria, passando per Iran, Iraq, Turchia, Yemen, Tunisia, Algeria, Egitto e gli Stati del Golfo Persico, le voci si sono levate all’unisono. Musulmani sunniti e sciiti, drusi, cristiani ed ebrei, persone provenienti da terre lontane, si sono riuniti in un unico posto di appena 120mila metri quadrati: lo Sports City Stadium di Beirut. In quel momento, sembrava che i giusti del mondo stessero alzando i pugni contro l’ingiustizia universale.
Lo stato di occupazione aveva sperato di porre fine a una Resistenza incarnata da Hassan Nasrallah, e dal suo cugino ed erede apparente, Hashem Safieddine, quando lo hanno assassinato cinque mesi fa. Ma i partecipanti al funerale hanno trasformato l’evento in un nuovo giuramento di fedeltà, un atto di sfida che ha infranto l’assedio psicologico imposto dai suoi oppositori e nemici. In effetti, lo slogan dell’evento era “Ina Ala al-Ahd” (Siamo nel patto).
I partecipanti provenivano da oltre 80 Paesi. Libanesi, palestinesi e siriani da tutto il Libano sono arrivati, molti a piedi, sfidando il freddo pungente, percorrendo decine di chilometri, mentre altri hanno trascorso la notte di sabato allo stadio.
Un funerale senza paura
Quando i jet da combattimento israeliani hanno sorvolato a bassa quota l’area del funerale, appena mezz’ora dopo l’inizio della cerimonia, nessuno ha sussultato. Anche quando hanno ripetuto la provocazione 30 minuti dopo, la folla è esplosa gridando “Hayhat minna al-dhilla“ (Non accetteremo mai l’umiliazione), una frase notoriamente attribuita all’Imam Husayn nel giorno dell’Ashura, spesso riecheggiata da Nasrallah durante i suoi decenni di attivismo e leadership.
Le contraddizioni nella scena erano impressionanti. Un leader di statura mondiale, portato sulle spalle del suo popolo, mentre lo piangeva senza paura. Il dolore era travolgente, ma la determinazione era più forte.
All’interno dello stadio e nelle strade circostanti, dove si erano radunate centinaia di migliaia di persone – uomini, donne e bambini, molti dei quali incapaci di trattenere le lacrime – l’atmosfera era carica di sfida. Hanno alzato i pugni cantando “Labbayka ya Nasrallah (Al tuo servizio, o Nasrallah).
Nasrallah più di un uomo, un movimento
Il messaggio era chiaro: Hassan Nasrallah era più di un uomo. Era un’idea, un simbolo di Resistenza, non solo perché ha difeso la Palestina e il Libano, ma perché, per tre decenni, è stato al fianco degli oppressi, ha combattuto la tirannia e si è opposto all’egemonia sionista e occidentale.
Non si è trattato di un funerale qualunque. Il raduno di oltre un milione di persone, nonostante tutte le minacce e le intimidazioni, non è stato solo un’espressione di dolore, ma una dichiarazione di incrollabile fedeltà al percorso del “leader martirizzato”. È stata una dichiarazione globale contro l’oppressione in tutte le sue forme.
Per rispetto del martire e per richieste fatte da Hezbollah, non è stato sparato un solo proiettile durante il funerale, un tributo tradizionale alle importanti riunioni arabe. Questa è lealtà.
di Redazione