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I “furbetti” del Monte dei Paschi di Siena

di Salvo Ardizzone

Con cinque secoli e mezzo di storia, il Monte dei Paschi di Siena è la più antica banca del mondo; rimanendo alla sua storia recente nel 1995, da Istituto di diritto pubblico venne privatizzata; purtroppo il suo controllo effettivo venne lasciato alla Fondazione Monte Paschi, a parole la rappresentanza del territorio, nel fatti un coagulo di potere, emanazione di politicanti locali. Con questa ottica venne gestita per anni, servendo molto spesso da strumento (o da utile stampella) alle operazioni finanziarie d’un mondo imprenditoriale e cooperativo che aveva per riferimento certa parte degli eredi dell’antico Pci e da ultimo il Pd. 

La svolta disgraziata avvenne nel 2007, quando Fondazione, l’allora presidente della banca Mussari e il direttore generale Vigni decisero d’acquisire Banca AntonVeneta (un Istituto che di problemi suoi ne aveva già tanti) dal Banco Santander; il fatto è che la banca spagnola aveva acquistato quella veneta da meno d’un mese pagandola 6,6 Mld e l’ha rivenduta a Monte Paschi per 9.

È stata un’operazione opaca e rovinosa, in cui arroganza, senso d’impunità e peggio si sono mescolati a inettitudine e irresponsabilità imprenditoriale; da allora è iniziato il calvario d’una banca, lo scempio dei tanti piccoli risparmiatori che vi avevano investito e l’occasione di molte speculazioni in grande stile.

A farla breve, Monte Paschi si svenò per quell’acquisto, arrivando a sottoscrivere con altre banche contratti capestro oggetto poi d’indagini giudiziarie; venne salvata dai Monti Bond, un maxi prestito statale a prezzo assai salato per 4 Mld. Un prestito, badate, e non un aumento di capitale, perché la Fondazione dopo l’acquisizione non aveva i soldi per sottoscrivere la sua parte, e il suo controllo sulla banca sarebbe svanito. Nel frattempo, i vertici di Monte Paschi finirono sotto processo (e hanno già incassato le condanne in primo grado), il Cda della Fondazione è stato azzerato, mentre il Pd, che nella faccenda c’era fino al collo, se n’è uscito con una scrollata di spalle, e la Banca d’Italia, che pure quell’acquisto aveva autorizzato, non è stata nemmeno sfiorata.

Venne varato un piano lacrime e sangue e fu chiamato Alessandro Profumo a svolgerlo; ciò malgrado, visto che il buco era una voragine e i Monti Bond andavano restituiti, il nuovo Presidente propose un aumento di capitale di tre Mld, ma la Fondazione si trovava nei guai perché zeppa di debiti e non aveva soldi, così ha fatto rinviare l’aumento e nel frattempo ha venduto a buon prezzo le sue azioni, liberandosi dei creditori e rimanendo con la liquidità per sottoscrivere l’aumento. Ma appena la Fondazione vende, viene fuori che l’aumento non è più di tre ma di 5 Mld, facendo crollare le quotazioni, e qui la domanda: la Fondazione sapeva già la reale consistenza dell’aumento prima che lo conoscesse il Mercato? Perché se così fosse, oltre ad averci guadagnato tanto ed aver gabbato i compratori, “avrebbe” commesso un reato da manuale.

Sia come sia, l’aumento di capitale viene affidato ad un consorzio di banche internazionali capeggiato da Ubs e guarda caso da Sergio Ermotti e Andrea Orcel, entrambi stretti collaboratori di Profumo quando era presidente di Unicredit. Il consorzio garantisce il collocamento, ma a condizioni spaventose per i vecchi azionisti, soprattutto i piccoli risparmiatori (che vengono macellati vedendo sparire il valore delle loro azioni), e convenientissime per i nuovi sottoscrittori; in questo modo, e senza alcun rischio, il consorzio ottiene il 99,85% di sottoscrizione del capitale e per questa operazione sul velluto ottiene 260 (260!) milioni di compenso.

Ma la vicenda è tutt’altro che finita; nello stesso prospetto informativo di collocamento delle azioni, era inserito un piccolo passaggio, annegato fra le pagine e pagine delle banalità di rito, che lasciava aperta la porta d’un altro aumento di capitale. Nel frattempo erano cominciate le verifiche della Bce per gli stress test e, incredibile ma vero, malgrado le rassicurazioni ufficiali a tutti i livelli dati dal Cda della banca, un mese prima delle pubblicazioni dei risultati, il nuovo presidente della Fondazione se ne esce con una dichiarazione che ammette la possibilità d’un nuovo aumento di capitale: le azioni cominciano subito ad affondare, fino a quando non c’è la conferma ufficiale che la banca ha uno “shortfall” (ammanco di capitale) di 2,1 Mld ed il tracollo arriva fino al 60% del valore di collocamento.

Eppure in questo sfascio c’è chi ci guadagna (e sono in tanti), quelli che chissà come finiscono per saper sempre quando scommettere sui ribassi repentini delle azioni della banca, uno di questi è quel Davide Serra, amico stretto del nostro premier Renzi, che nel momento più giusto ha venduto allo scoperto (in pratica una scommessa, vendendo azioni che non si hanno “prevedendo” ribassi) lo 0,94% delle azioni complessive e realizzando ottimi utili: non è che qualcuno gli abbia sussurrato in anticipo le intenzioni della Bce? Certo è pensar male, però…

Nel frattempo, a tamburo battente, il 5 scorso il Cda ha varato un altro aumento di capitale per 2,5 Mld, che, unito a vendite di asset non strategici per 220 ml e una proposta di aggiustamenti su utili previsti per 390 ml, tamponerebbero la situazione, finendo per liquidare anche l’ultimo Mld di Monti Bond da restituire. Sarà la volta definitiva? Chissà. Nel frattempo i piccoli azionisti toscani che una volta tenevano in mano una parte corposa del capitale, dopo essersi dissanguati dietro tutte queste operazioni rimangono con un pugno di mosche.

Domande: com’è che la Banca d’Italia ha avallato l’acquisto di AntonVeneta a quel prezzo assurdo? Com’è che pur essendo da due anni a far verifiche a Rocca di Salimbeni (la sede), non s’è accorta che l’aumento di capitale doveva essere assai più corposo di quanto inizialmente ventilato?  Com’è che ha permesso la restituzione immediata della gran parte dei Monti Bond invece che imporre un aumento di capitale allora? Com’è che il consorzio di banche internazionali chiamato a seguire il primo aumento non s’è “accorto” che l’aumento di 5 Mld era insufficiente? 

Potremmo continuare a lungo con le domande, ma l’unica risposta è che con Monte Paschi gli unici che ci hanno guadagnato (molto) son stati quelli che hanno avuto “l’ispirazione” di vendere al momento giusto (e sono stati tanti), lasciando il cerino in mano agli altri. Bravura o altro?     

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