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Etiopia: 1.200 persone arrestate arbitrariamente

Etiopia – A seguito degli scontri di domenica 17 settembre che hanno causato la morte di almeno 23 persone, il Primo Ministro etiope ha ordinato l’arresto di 1.200 persone: che il nuovo governo liberale di Abiy Ahmed stia cedendo alle logiche dittatoriali che caratterizzano gli sfortunati Paesi del Corno d’Africa? La situazione di quest’area dell’Africa è tra le più drammatiche del continente. Nel 1993 l’Eritrea ottenne l’indipendenza dall’Etiopia, ma dopo un primo periodo di relazioni pacifiche, i due Stati hanno dato il via a una serie di dispute territoriali piombando in una guerra cruenta che ha causato la morte di oltre 80mila persone, nonché migliaia di profughi e di sfollati.

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Le popolazioni di tutta l’area hanno vissuto da allora in una sorta di stato di guerra. Il regime di Afewerki mantiene da 25 anni l’Eritrea in una costante emergenza, usando il pretesto di una presunta minaccia alla sicurezza nazionale proveniente dall’Etiopia per giustificare una brutale repressione interna: esecuzioni sommarie, sparizioni, torture, servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato per uomini e donne dai 17 anni in poi, annullamento della libertà di stampa e di espressione, corruzione, isolamento, terrore. Si sa che mantenere il popolo nella paura è il modo più semplice per governarlo e farsi obbedire.

Similmente, la situazione degli ultimi anni in Etiopia e fino a pochi mesi fa vedeva scontri e massacri su basi etnica (nel Paese sono presenti più di 80 gruppi diversi), nonché repressioni molto dure da parte del governo, e costanti soprusi nel totale disprezzo dei diritti umani. Detenzioni arbitrarie, processi sommari, esecuzioni, tratta di esseri umani erano all’ordine del giorno. Da sottolineare come la decennale tensione tra Etiopia ed Eritrea abbia ripercussioni nei conflitti in Sud Sudan, Somalia e Ciad, anche per via dell’esodo di profughi nei territori limitrofi.

Dal mese di aprile in Etiopia qualcosa è cambiato, quando a seguito delle dimissioni del suo predecessore è stato eletto Primo Ministro Abiy Ahmed, che fin dal suo discorso inaugurale ha mandato notevoli segnali di apertura e nei mesi successivi ha completamente rivoluzionato l’atteggiamento del governo. Abiy ha parlato più volte di riconciliazione nazionale, ordinando fin da subito la scarcerazione di centinaia di prigionieri politici e dissidenti. Ha poi denunciato la corruzione dilagante dei vertici politici della stessa coalizione (al potere dal 1991) di cui è leader, e ha accusato le forze di sicurezza di compiere atti di vero e proprio terrorismo contro la loro stessa popolazione.

Un passo fondamentale per la pace e la stabilità del Corno d’Africa è stato poi compiuto da Abiy a inizio giugno, quando ha annunciato a sorpresa che il governo rinunciava alle rivendicazioni territoriali che erano state la causa dell’inizio della guerra tra con l’Eritrea. A seguito di ciò, sono state riaperte dopo oltre due decenni le relazioni diplomatiche tra i due Paesi per avviare i negoziati di pace, concretizzatasi poi l’8 luglio con lo storico incontro ad Asmara dei due leader: Abiy Ahmed ha incontrato il dittatore eritreo Isaias Afewerki, e il colloquio sulla complicata relazione tra i due Paesi si è risolto con la storica decisione di riaprire le rispettive ambasciate, di ripristinare la rotta aerea tra le due capitali nonché le linee telefoniche dirette, e di dare avvio al commercio bilaterale tra i due Paesi.

Etiopia riapre al Fronte di Liberazione Oromo

In pochi mesi Abiy Ahmed ha modificato radicalmente l’atteggiamento del governo di Addis Abeba, arrivando anche a legalizzare diversi gruppi di opposizione che erano stati a lungo classificati come “terroristici”, compreso il Fronte di Liberazione Oromo (Olf). E proprio qui è sorto il problema. Gli oromo (di cui lo stesso Abiy fa parte) sono il gruppo etnico maggioritario in Etiopia ma marginalizzato da decenni, e lo scorso 7 agosto il governo di AddisAbeba ha firmato un accordo di cessate ostilità l’Olf. Oltre un migliaio di Oromo sono stati quindi autorizzati a rimpatriare, e giunti nella capitale hanno tentato di esporre le proprie bandiere lungo le strade della città per festeggiare e dare il benvenuto al loro leader Dawud Ibsa. La cittadinanza si è opposta, e gli Oromo hanno reagito tracciando sui muri i propri simboli e colori. Da questo sono scaturiti proteste e disordini, da riallacciare alle rivalità etniche e agli storici rancori radicati nella storia etiope.

La tensione è salita a livelli tali da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine, il cui agire ha però travalicato i termini. Pertanto, il 17 settembre la folla è scesa in piazza a manifestare contro il Primo Ministro, e di nuovo è intervenuta, duramente, la polizia: negli scontri che sono seguiti tra i vari gruppi etnici, hanno perso la vita ben 23 persone (58 secondo Amnesty International), e i sobborghi della capitale etiope – in particolare Burayu – sono stati messi a repentaglio da violenti saccheggi e razzie. Questo ha causato la fuga di quasi 10mila persone, che sono temporaneamente state accolte in tre diversi centri per sfollati.

A seguito di questi sanguinosi scontri di matrice interetnica, la reazione del governo è stata spropositata: con l’intento dichiarato di “assumere tutte le misure necessarie perché non si verifichino più simili episodi di anarchia”, circa 1.200 persone sono finite agli arresti per gli omicidi le violenze e gli atti di vandalismo. Il capo della polizia di Addis Abeba, Degfie Bedi, ha precisato che i capi di imputazione sono al momento rivolti solo verso 107 di queste persone attualmente in carcere, e che comunque tutti i sospettati verranno rilasciati solo dopo un periodo di “training rieducativo”.

La condanna da parte di Amnesty International non si è fatta attendere: “Questa ondata di arresti minaccia il nuovo orientamento di apertura inaugurato dal governo di Abiy Ahmed”, ha dichiarato Joan Nyanyuki, direttore generale di Amnesty per l’Africa orientale. “Le autorità etiopi nei mesi scorsi hanno fatto uno sforzo encomiabile per svuotare le prigioni statali dalle detenzioni arbitrarie: non devono però riempirle nuovamente con arresti arbitrari e incarcerazioni prive di imputazione. Il governo deve rinnovare il proprio impegno per una nuova era di rispetto e sostegno dei diritti umani”. Ed è quello che si augura la comunità internazionale, che osserva col fiato sospeso l’evolversi degli eventi in questo disastrato angolo di mondo.

di Silvia Privitera
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