Ecoreati, secondo Istat non hanno nessuna importanza
Degli ecoreati se ne parla sempre troppo poco, ma quando assurgono a notizia del giorno lo fanno in modo molto preoccupante. Stando ai dati dell’Istat, il quadro degli ecoreati fornisce una situazione imbarazzante; sono stati presi in analisi gli anni che vanno dal 2014 al 2016 e ciò che ne esce è emblematico di una situazione che andrebbe presa molto sul serio.
Un’analisi di lungo periodo che riesce così a cogliere la dinamica del fenomeno del contrasto agli ecoreati, a partire dalla introduzione del Codice unico ambientale (2006) fino alla recente legge sui reati ambientali del 2015. I primi dati riguardano i procedimenti avviati dalle Procure passati da 4.774 nel 2007 a 12.953 nel 2014, per scendere a 10.320 nel 2016. Il dato segnala una progressiva maggiore attenzione dei magistrati inquirenti a cavallo del decennio, per arrivare prima a una stabilizzazione e poi a diminuzione, proprio in corrispondenza dell’avvio della nuova normativa.
La maggior parte di tale iniziative si è concentrata nella regioni del Mezzogiorno a dimostrazione dell’aumento dell’attenzione sugli ecoreati e che segnala anche una certa maturità del sistema di contrasto; il dato Istat, per la prima volta, ci indica quante indagini si trasformano in inizio dell’azione penale con il rinvio a giudizio e quante invece vengono archiviate.
Le archiviazioni sono passate dal 25% del 2006 ad oltre il 45% nel 2016; solo poco più di metà dei procedimenti quindi proseguono in un’azione penale, il cui esito (nei tre gradi di giudizio) per adesso non è noto. Nel 2016, su 10.320 fascicoli aperti, solo 5.633 si sono trasformati in azioni penali. Le indagini preliminari quindi spesso si concludono con un nulla di fatto in quanto indicatore di una complessità normativa di difficile e nebulosa interpretazione che impedisce alle forze dell’ordine l’applicazione delle norme e da li l’avvio delle indagini. Ed è qui che il governo e Parlamento dovrebbero intervenire mettendo mano ad una semplificazione che agevolerebbe le indagini e l’avvio delle pratiche processuali in quanto, altro dato dell’Istat, il 97% di questi procedimenti si è concluso con delle contravvenzioni.
Anche la durata delle indagini dovrebbe far riflettere; nel 2015 la durata media delle indagini è stata di 457 giorni (quasi un anno e mezzo), con punte fino a 608, aumentato del 30% rispetto al 2010. Altro segnale di qualcosa che ha bisogno di essere rivisto perché espone gli indagati a un periodo troppo lungo di incertezza, in un settore chiave della vita economica del Paese.
Stando alle indicazioni dell’Istat, il settore più a rischio è quello dei rifiuti con 8.792 procedimenti nel solo 2016 e le aree nella quale si è riscontrato il maggior pericolo sono il sud e le isole dove si è svolto il 50% dei procedimenti. A voler leggere i dati danno una fotografia molto interessante che dovrebbe servire da spunto per modificare le cose, ma il governo attuale, così come quelli precedenti, è in tutt’altre faccende affaccendato. Se nelle altre nazioni l’ambiente ha un posto di rilievo, in Italia è relegato ad un fastidioso contenzioso da risolvere con qualche battuta in campagna elettorale, relegando poi il tutto in un dimenticatoio.
Il sistema che dovrebbe portare alla punizione degli ecoreati necessita di semplificazione e snellimento della burocrazia, in modo da consentire alle forze dell’ordine di agire tempestivamente ed evitare che si commutino sanzioni che non servono a nulla.
di Sebastiano Lo Monaco