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Draghi la spunta sui “falchi” della BundesBank, al via il nuovo piano della Bce

di Salvo Ardizzone

Finalmente s’è materializzato l’evento che ha tenuto in sospeso le economie del pianeta: giovedì pomeriggio, al termine d’una lunga riunione all’Eurotower, Mario Draghi ha annunciato il piano della Bce per ridare fiato all’Eurozona. Dal prossimo marzo la Banca Centrale procederà ad acquistare titoli al ritmo di almeno 60 Mld  al mese, fino al settembre del 2016, e comunque fino a che sarà scongiurata la deflazione; un importo massiccio, 1.140 Mld complessivi nei 19 mesi, assai più di quanto preventivato.

L’intento è quello di mettere in circolo una massa di liquidità, che stimoli domanda e investimenti, riavviando le economie asfittiche dell’Eurozona. Prima che quella massa di denaro riesca a scendere fino ai consumatori e ad incidere sui cicli produttivi, avrà comunque degli effetti benefici: abbasserà il valore dell’Euro, favorendo la concorrenzialità dell’esportazione; terrà sempre più bassi i tassi del debito pubblico (al momento già arrivati ai minimi storici sull’onda dell’aspettativa); farà costare il denaro ancora di meno, favorendo aziende e famiglie.

Fin qui le buone notizie: l’operazione è stato il frutto d’un colossale braccio di ferro, tenuto in gran parte sotto traccia, fra Draghi e i “falchi” del rigore capitanati dal Presidente della BundesBank, Weidmann, con dietro la Merkel a spalleggiarli; il timore di Berlino e degli altri critici era che una simile operazione si traducesse nello scaricare su tutti il peso del default d’uno Stato membro che entrasse in crisi; non solo; temevano che gli acquisti di titoli sovrani fossero sbilanciati sui Paesi più in difficoltà. Il risultato è stato un compromesso: la Bce risponderà solo per il 20% degli acquisti complessivi e le acquisizioni saranno ripartite fra gli Stati in percentuale alla loro partecipazione alla Banca Centrale (per l’Italia il 12,3%, la Germania il 17,9%, la Francia il 14,1% e così via).

È un compromesso al ribasso, certo, che, come ha già detto Ignazio Visco (Governatore di Bankitalia), in qualche modo depotenzia la misura perché il rischio non è suddiviso fra tutti e perché le percentuali dell’intervento premieranno chi è già più forte a danno di chi ne avrebbe magari più bisogno. E’ vero, ma in ogni caso s’è rotto un tabù che resisteva dall’introduzione dell’Euro: è stato accettato e messo in pratica il concetto che, se esiste la Ue e l’Eurozona, anche i rischi dei singoli Paesi possano essere messi in comune. Una rivoluzione straordinaria rispetto alle posizioni anche solo di pochi mesi fa, accettata dalla Merkel, che l’ha concordata nell’incontro avuto con Draghi alla vigilia del Consiglio Direttivo, per non andare ad uno scontro che avrebbe fatto troppi sconquassi.

Anche per quanto riguarda un altro nodo spinoso le aspettative sono state in parte deluse: le regole attuali impediscono alla Bce acquisti di titoli che abbiano il rating “spazzatura”, e dunque la Grecia (ma l’Italia è al momento appena un gradino sopra) ne sarebbe esclusa. S’è deciso di non fare deroghe, ma i titoli potranno comunque essere acquistati se il Paese (leggi ancora la Grecia) aderisse ad un programma di salvataggio; il che tradotto significa che la Bce assisterebbe Atene se essa si attenesse agli accordi conclusi con la Troika (Ue, Bce e Fmi) anche dopo le elezioni del 25 gennaio. Un modo chiaro quanto freddo per mettere le mani avanti e mandare un messaggio ai Greci. 

Accanto alla descrizione della manovra, Draghi ha inteso rilanciare il programma Tltro, le aste con cui le banche europee prendono capitali dalla Bce a tassi bassissimi, ora ancora ridotti allo 0,05%. L’ultima asta, quella di dicembre, ha visto assegnati circa 130 Mld, di cui 26 a istituti italiani. Il fatto è che visto il tasso, le banche li hanno usati più per riempirsi di titoli pubblici, senza correre rischi, che per fare il loro mestiere, concedendo finanziamenti alle imprese.

Sia come sia, al momento, i tassi dei titoli pubblici di già non sono mai stati più bassi, abbattendo di molto il costo del debito degli Stati; l’Euro ha sforato al ribasso l’1,15 sul dollaro, favorendo le esportazioni; le borse di tutta Europa (ma anche del resto del mondo) festeggiano per l’evento. A completare, Zhou Xiaochuan, Governatore della People’s Bank of China, in un’intervista a Davos, ha ribadito che continuerà a puntare massicciamente su investimenti nell’Eurozona. Se a questo s’aggiunge che il petrolio sempre più basso (è stato infranto anche il muro dei 50 $ al barile, dai 110 di maggio) compensa largamente la svalutazione dell’Euro negli acquisti, sembrerebbe una situazione unica per la ripresa.

Sembrerebbe, ma, come è stato ribadito nella conferenza stampa, se gli Stati non fanno la loro parte, sarà tutto inutile perché l’azione monetaria da sola non può bastare e, fallita quest’ultima arma, dopo ci sarebbe solo il collasso. Il che significa per l’Italia, che dovrebbe tagliare le rendite parassitarie e i privilegi di un’infinità di piccoli e grandi centri di potere; combattere (ma finalmente sul serio) malaffare, corruzione ed evasione; riorganizzare (ma con i fatti, non a parole) una macchina dello Stato buona solo a vessare, creare complicazioni e pastoie; limitare le spese stratosferiche a cui non corrisponde né una produzione di beni e tantomeno di servizi e così via. Ma, appunto, siamo in Italia e sperare che tutto questo avvenga è pura utopia. 

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