Abbiamo alle spalle mesi di telegiornali costretti a informarci, quasi quotidianamente, su casi sempre nuovi di donne uccise e massacrate da fidanzati gelosi o ex-compagni ossessionati. Non dovremmo davvero pensare che a tutto ciò ci si possa abituare. Ma perché accade? Una spiegazione alla morte di così tante donne, tutte accomunate da uno stesso tragico destino, dobbiamo cercarla. Dobbiamo trovarla.
La loro percezione di donna
È colpa degli uomini (…certi uomini…): la loro percezione di donna-compagna è distorta a tal punto da trasformarle ai loro occhi in una proprietà personale, alla stregua di un’auto o di un qualunque altro oggetto. Eppure, per un raptus di follia nessun uomo ha fatto a pezzi la macchina, e non ne avrebbe motivo. Le auto non pensano, non scelgono, vanno esattamente dove vuoi che vadano. Inoltre, declassare la ferocia di questo genere di omicidi a raptus o malattia mentale sarebbe un regalo per tutti quegli uomini che scrupolosamente hanno meditato i loro delitti, cancellato le tracce dei loro crimini, e finto in maniera fin troppo perfetta il proprio dolore per quella morte tragica.
È colpa delle donne (…tutte…): se la vanno cercando, mancano di dolcezza e comprensione, quella che le madri usano ai figli, non accettano un tradimento, mortificano il compagno con la propria indipendenza, poco pazienti, troppo esigenti, capaci come sono di troncare storie insoddisfacenti, e poi “quante volte provocano?”, affermava persino un parroco nei volantini affissi sui muri esterni della propria chiesa.
Colpa di un’educazione sentimentale errata di entrambi, di una mancata educazione al rispetto di sé stessi e degli altri, di una società in cui vige il divieto di risultare perdenti, deboli, tristi, sconfitti. È un mondo di isole quello in cui viviamo, dove la parola amore si confonde con possesso, e servono barchette di salvataggio perché chi non ce la fa a distinguere le due cose possa trovare qualcuno che lo aiuti a capire.
La lotta delle donne
Ne è passato di tempo da quando le donne erano pronte a manifestare per vedersi riconosciuto il diritto del voto, del divorzio, dell’aborto, il tempo in cui ogni donna ritrovava la dignità davanti ad uno Stato che aboliva il delitto d’onore. Sembra lontano anche quello più recente delle donne in piazza perché “adesso è il corpo delle donne a dover essere difeso”, forse anche da sé stesse che non sanno negarlo alla bramosia di una telecamera che si infila sotto la sua minigonna mentre balla su un palco, o di un conduttore che le rinchiude sotto un tavolo di vetro.
È il mondo intero a dichiarare tutti i giorni che esse sono solo oggetti. Quelle donne hanno gridato rispetto, e continuano a farlo anche per tutte le altre, anche per quelle che considerano più importante finire sulle copertine di tutti i giornali, poco importa se per vicende giudiziarie scandalose. Le donne pronte a stringersi come un pugno per colpire ogni forma di odio, violenza e sessismo nei loro confronti stanno diventando anch’esse un mondo pieno di isole.
Ognuna segue la propria strada, ogni vita frenetica persa a rincorrere il tempo che non basta mai, a coprire col trucco quell’espressione di inadeguatezza sul viso. Ognuna ossessionata dal proprio corpo, da quei vuoti d’amore ereditati da bambine o scavati da uomini sbagliati, ognuna profondamente sola che verso le donne uccise o violate avrà comprensione e rispetto, ma che a volte sarà capace anche di ricoprirle di pregiudizi e condanne.
Perché lo sentiamo tutte quel sottofondo triste e amaro che finisce per convincere anche noi: in un modo o nell’altro, è sempre un po’ più colpa delle donne.
di Anna Lisa Maugeri