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Default Argentina: il mercato stringe il cappio al collo al popolo argentino

di Salvo Ardizzone

A distanza di 13 anni da un primo default da cui non s’era ancora ripresa, l’Argentina si trova di nuovo nella stessa condizione; stavolta, però, malgrado la situazione dell’economia sia tutt’altro che florida, la responsabilità è di un giudice della Corte di New York, Thomas Griesa.

Riassumendo la vicenda che abbiamo già trattato circa un mese fa, nel 2001 Buenos Aires dichiarò di non poter rimborsare i titoli del proprio debito pubblico, avviando pesanti ristrutturazioni di quei titoli nel 2005 (per il 76% del debito complessivo) e nel 2010 (per il 16,4%); fuori, a non accettare alcun accordo, restava solo il 7,6% dei creditori. Alcuni hedge funds, fiutato l’affare, hanno rastrellato fra quei creditori circa l’1% del debito argentino, pagandolo una manciata di spiccioli, ed hanno intentato una causa al Governo di Buenos Aires per ottenere il rimborso totale dei titoli. La sentenza ha dato loro ragione ed è stata confermata dalla Corte Suprema di Washington; a seguito di essa l’Argentina dovrebbe pagare 1,33 Mld di dollari agli hedge funds, facendo realizzare loro un utile del 1.608%.

Ma questo è il meno: a parte che, accettato questo criterio, si dovrebbero pagare allo stesso modo anche gli altri titoli rimasti fuori dalle ristrutturazioni (e sono circa altri 13 Mld), il danno vero è la clausola “Rufo” (Rights upon futures option), che consente a chi ha aderito alle due ristrutturazioni (il 92,4% dei creditori) di accedere alle migliori condizioni che altri potessero ottenere su quei titoli: come dire il rimborso pieno di almeno 120 Mld di $. Inoltre, il giudice Griesa, con un’ordinanza ha impedito che Buenos Aires pagasse le sue rate di debito ristrutturato se prima non salda per intero quanto dovuto ai fondi; di qui, vista l’impossibilità di fare fronte alle scadenze (539 ml di $), la dichiarazione di default per la verità selettivo (vale a dire relativo ad alcuni titoli). Per rimediare, l’Argentina ha depositato la somma presso una banca, a disposizione dei creditori, ma i soldi rimangono là, bloccati dall’ordinanza di Griesa, attivando una serie di altre azioni legali per lo sbocco.

Nel frattempo, il macigno resta la clausola “Rufo”, che scade solo a fine anno; se attivata renderebbe completamente ingestibile la situazione. Da parte sua Cristina de Kirchner s’è rivolta al Paese, denunciando la sfacciata speculazione dei fondi, e ottenendo la piena solidarietà del Brasile per bocca del Ministro del Tesoro Guido Mantega.

Che gli hedge funds abbiano agito da avvoltoi, come in sostanza ha detto il Presidente argentino, è un fatto: è inammissibile che per una sfacciata quanto sporca speculazione, si possa giocare col destino d’una Nazione. Il fatto è, però, che la Kirchner è ben lontana dall’avere la credibilità per giocarsi una battaglia internazionale sul fondamento etico (e politico) d’una simile enormità. Lei, e prima suo marito e predecessore Fernandez, con i propri entourage, hanno avuto ed hanno molte colpe nel turbine di corruzione che ha travolto l’Argentina. Inoltre, come abbiamo a suo tempo fatto notare, il successo delle ristrutturazioni del debito si sono basate sul principio di pagare il più possibile i creditori grossi e potenti (per tacitarli) e mettere i “pesci piccoli” dinanzi al ricatto del prendere o lasciare (come è avvenuto per molti risparmiatori italiani che, con la complicità interessata di diverse banche nostrane, finirono scottati dai “tango bond”).

Per il momento Standard&Poor’s ha declassato l’Argentina a CCC-, praticamente default selettivo, meno che spazzatura, mentre i mercati azionari del globo hanno chiuso luglio in profondo rosso, complici diverse congiunture internazionali sfavorevoli. In effetti si tratta ancora convulsamente per evitare che il peggio divenga definitivo, minacciando di travolgere del tutto la già traballante economia argentina. Consorzi di banche, interventi internazionali, mediazioni, si parla di tutto; ovviamente i fondi, grazie ad una sentenza che ha dell’incredibile (ma in fondo non più di tanto), aspettano soltanto di passare all’incasso, monetizzando la più squallida delle speculazioni. È il mercato con le sue leggi, a cui è sempre più di moda inchinarsi. Peccato che chi paga sia sempre un Popolo.

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